Recensione: Carlo Maria Martini, Georg Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Milano, Mondadori, 2008.
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Recensione
Carlo Maria Martini, Georg Sporschill, Conversazioni notturne a Gerusalemme. Sul rischio della fede, Milano, Mondadori, 2008.
Conversazioni notturne a Gerusalemme esce nel 2008 presso Mondadori (traduzione dal tedesco di Francesca Gimelli, 124 pagine di facile lettura) nella collana “Saggi”, in una sobria veste grafica (la copertina riporta la rielaborazione di una suggestiva foto panoramica di Gerusalemme di Benjamin Rondel/Corbis). Il libro si presenta come trasposizione di colloqui notturni («La notte è un momento di oscurità, di immaginazione, i sensi si affinano») avvenuti nel 2007 presso la Casa dei Gesuiti a Gerusalemme tra Carlo Maria Martini [recentemente scomparso; fu biblista di fama internazionale e arcivescovo di Milano (1980-2002)] e Georg Sporschill, gesuita come Martini, impegnato da anni nell’opera sociale di assistenza e educazione giovanile in aree disagiate del mondo (Romania, Moldavia), già curatore insieme al teologo Karl Rahner di un libro-intervista incentrato sui ragazzi.
Conversazioni notturne a Gerusalemme si apre con le prefazioni dei due autori e si snoda per sette capitoli, nei quali vengono affrontate varie tematiche il cui fulcro è la fede. Una fede che si concretizza come relazione dalla duplice direzione: verso Dio e verso la società (non solo ecclesiastica ma umana in generale). Una fede che «in tempi di incertezza» sembra difficile da acquisire. Fede che implica dunque un «rischio», ossia il coraggio di compiere scelte, qualora si abbia la volontà di farla propria e renderla operante.
Si tratta di un libro ricco di domande, secondo la convinzione che «le risposte cadono su un terreno fertile solo quando prima è stata posta una domanda». L’interrogativo, la comunicazione e il confronto aperti, sono utili allo sviluppo di una coscienza pensante, critica. A tal proposito si legge che «è essenziale promuovere la capacità di giudizio nei singoli cristiani». Con apertura vengono affrontati argomenti all’ordine del giorno: il senso della vita, rintracciabile nell’amicizia e nella lotta contro l’ingiustizia; la crisi della Chiesa Cattolica Romana europea e il suo rapporto deleterio con il potere; il dialogo tra diverse religioni e culture, l’unico modo per conoscersi meglio, evitando lo scontro di civiltà; la sessualità e il rapporto tra uomo e donna.
Sia l’accattivante sottotitolo, sia l’andamento dialogico, che riproduce un’ideale conversazione tra l’ex-arcivescovo e i giovani (ogni capitolo prende le mosse da lettere di ragazzi recapitate a Martini tramite Sporschill), lasciano trasparire la finalità pedagogica dello scritto. D’altronde, che gli ispiratori e i destinatari ideali siano i giovani, lo si intuisce dalla grande attenzione loro riservata. Martini ripone in essi la fiducia del cambiamento. Nonostante la critica alla sempre più «silenziosa» gioventù occidentale, annoiata e insoddisfatta perché assuefatta al benessere, egli scrive nella prefazione: «Essi lottano contro l’ingiustizia e vogliono imparare l’amore. Danno speranza a un mondo difficile»
Costante è l’attenzione alla relazione problematica tra la Chiesa Cattolica Romana del XXI secolo e i fedeli (in particolare i più giovani). I passi indietro compiuti rispetto alle idee e alle posizioni degli anni ’60 (gli anni del Concilio Vaticano II) e la crescente sfiducia verso la “istituzione” religiosa, riscontrata dagli stessi autori, richiedono la risposta di una «Chiesa coraggiosa». Una Chiesa aperta al dialogo sulle problematiche attuali. Una Chiesa fatta di persone più che di mura, dove tutti i credenti siano attivi e pensanti (un’«assemblea» di credenti, secondo il Nuovo Testamento). Tirando le somme, la risposta consisterebbe nello scompiglio provocato dal ritorno all’insegnamento del Gesù «amico del pubblicano e del peccatore», che «ascolta le domande della gioventù», che «lotta con noi contro l’ingiustizia».
Anche se chi scrive non lo dice, forse queste Conversazioni mostrano una forte nostalgia di un Gesù non tradizionalista, ed effettivamente è riscontrabile sottotraccia una tensione tra il ritorno all'insegnamento snello dell’Evangelo di Cristo e la pesante tradizione millenaria del Cattolicesimo Romano. Leggiamo che i «pesi sono paure, carenza di fiducia in Dio», e pensiamo all’apparato di superstizioni e normative dogmatiche che con i secoli hanno incrostato l’essenzialità del messaggio cristiano e generato o una «cattiva coscienza» o l’ateismo. Leggiamo di esercizi spirituali che per la loro difficoltà sono riservati a un’élite; di confessione auricolare e di celibato, che permetterebbe una maggiore dedizione a Dio. Al contempo leggiamo che il cristiano deve pregare con semplicità -è Gesù che invita a non sprecare parole nella preghiera. Leggiamo che è fondamentale legarsi in maniera diretta a Cristo, e quindi a Dio; che tutti i cristiani devono essere attivi e operanti. Il che consente al Lettore attento di azzardare una domanda: i cristiani non sono forse tutti sacerdoti, come scrive Pietro apostolo? Martini ci ricorda poi che il celibato è un'imposizione tarda, risalente all’XI secolo d.C., forse da ridiscutere. Un buon inizio di discussione sarebbe, ad esempio, chiedersi come mai il matrimonio e la famiglia non impedirono a Pietro, apostolo e vescovo (primo papa?), di dedicarsi assiduamente alla causa del Vangelo.
Nonostante la tensione presente in filigrana nelle risposte di Martini, va riconosciuta al grande biblista quella sapienza che lo predisponeva al dialogo e alla critica, e che gli faceva dire: «Io confido nella radicalità della parola di Gesù che dobbiamo tradurre nel nostro mondo».
Fabio Guadagno
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Fabio Guadagno (1986): conseguita la laurea in Lettere Moderne, discutendo una tesi nell'ambito della poesia italiana del Novecento, intraprende il dottorato in Studi Umanistici. Si interessa allo studio delle Sacre Scritture, che cura seguendo seminari biblici, ed è impegnato nella predicazione del Nuovo Testamento.
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