Riflessioni

NON CADRA

CHIESA di CRISTO IN POMEZIA ____________________________________________________________

 

 

 

Roberto Tondelli

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non cadrà

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo scemo crede tutto quel che si dice,

ma l’uomo prudente bada ai suoi passi

(Prov 14,15)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Se non diversamente indicato, le citazioni bibliche sono tratte dalla Versione Riveduta (G. Luzzi).

 

Copie di questo saggio possono essere richieste ai seguenti riferimenti:

Chiesa di Cristo Gesù
Biblioteca Biblica Storica Religiosa
Largo Goffredo Mameli, 16A
00040 Pomezia-Roma (RM)

info@chiesadicristopomezia.it        tel: (+39) 06 91251216          (+39) 339 5773986

 

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Non cadrà
© Proprietà letteraria riservata – Roberto Tondelli, 2014

 

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Feriae Augusti, Anno Domini 2014

Assumptione beatae Mariae Virginis in coelum (?)

 

Ove si dimostra, tra le altre cose, che:

è più facile scagliare versetti contro gli altri

che applicare a se stessi i consigli della Scrittura.

Chi fa così agisce male e per il male (1 Cor 4,6).

È male decidere in base alla legge della parentela (Lc 8,19 ss).

Chi non conosce vergogna non può conoscere onore (Rm 2,7).

 

.

 

 

 

 

 

 

Non cadrà / 1

 

 

 

In queste note ogni riferimento a fatti e persone non è casuale. Né mai potrebbe esserlo. Come infatti la cura medica buona dovrebbe essere ad personam, personalizzata, e non standardizzata com’è ora, così l''Evangelo che salva dovrebbe essere indirizzato e adatto alla persona concreta, nella sua realtà e situazione personale. Chi non prende l’Evangelo in senso personale, lo rende generico, lo banalizza e quindi lo ridicolizza. Colui che più di ogni altro si è accostato alla persona facendone il centro della propria attenzione e cura spirituali è stato Gesù.

Talvolta la cura ad personam di Gesù fu accolta (anzi persino anticipata) dal paziente realmente ravveduto, anche se si dimostrò per lui molto costosa. Si pensi a Zaccheo e a quanto gli costò il suo pentimento; si pensi anche a Saulo e a ciò che fece per una vita intera pur di far dimenticare che egli aveva “perseguitato la chiesa”. Di qui le domande:

 

·         la cura personalizzata di Cristo non dovrebbe essere accolta e utilizzata dal paziente anche se, proprio sul piano personale, si rivelasse impegnativa per le scelte di sanità morale che implica, costosa per le rinunce che prevede?

·         È ragionevole che il paziente non si fidi della cura sana suggerita dal medico Gesù, per affidarsi invece al cerusico che prescrive quel che il paziente vuol sentirsi dire?

·         D’altra parte, c’è forse qualcosa come una fede verace che non sia costosa e impegnativa proprio sul piano personale?

·         La stessa fede di Gesù non fu forse impegnativa e costosa per lui personalmente?

·         Una fede facile, accomodante, che non lotta è davvero la fede che imita Cristo?

·         Come mai oggi si insiste sul battesimo e i suoi effetti (sacramentali?) ma ben poco si dice e ancor meno si fa in termini di ravvedimento personale? Si ignora forse che, privo di fiducia responsabile e di ravvedimento fattivo, il battesimo non è che un tuffo?

 

Quando piovono pietre…

“Le parole sono pietre”, scrive Carlo Levi. Lo stesso Autore rimproverò al “Cristo” di essersifermato a Eboli. Parlò del nostro sud, ma in realtà intendeva forse dire l’Italia intera:

paese chiuso, claustrofobico, ignorante, senza memoria…

 

Italiani brava gente? O piuttosto gente che di rado adotta parole incoraggianti e azioni dirette, schiette. Anzi spesso ne usa di doppie. Paese dove il sorriso può talvolta celare ipocrisia, invidia e dove è così arduo edificare qualcosa di serio, stabile, durevole (anche comunità di credenti serie, stabili, durevoli?). Un Paese dove Cristo trova forse difficile progredire, e per questo si è “fermato”; o forse si dovrebbe dire che è stato arrestato? Sarà forse per questo che è così difficile “edificare”, nel senso nobile, neotestamentario della parola: edificare comunità di discepoli dalla fede responsabile.

 

·         La chiesa è dei preti, io voglio stare tranquillo

·         Il predicatore deve fare sermoni edificanti che mi facciano stare tranquilla…

 

Le due frasi, citate alla lettera, tratte l’una dall’ambito cattolico l’altra dall’ambito cristiano, riflettono entrambe un atteggiamento mentale malato di irresponsabilità, svogliatezza, ignavia. Dinanzi a problemi che richiedono cura, serietà, dedizione, alcuni decidono di scendere dalla nave incagliata e di “salvarsi” (?) su una scialuppa di fortuna…

 

·         Non sarà forse proprio con tale atteggiamento che si arresta la rivoluzione spirituale morale di Cristo, non consentendogli di andare oltre “Eboli”?

 

Se non si è letto Levi, forse non si è letto neppure Lorenzini, detto Collodi. Quando si era alle elementari la maestra diceva dolcemente che se non si legge non si sa né parlare né tacere. Perciò da grandi si rischia di leggere in malo modo (= ignoranza) anche Matteo apostolo e Paolo il “rozzo”. Parrà strano, ma per sapere di risurrezione e generi letterari si potrebbe partire persino da una ri/lettura di Pinocchio. Poi si ri/leggerà anche Levi, sia Carlo sia il pubblicano, e poi Levitico. Forse allora s’imparerà a pensare. Si provi ad esempio col terribile capitolo 18 di Levitico: un uomo non deve andare a letto con la nuora né con la zia… roba d’altri tempi?! Imparando a pensare, s’imparerà forse a rispettare Dio, a esser migliori. Poi, aggiungendo alle letture la preghiera fervida si imparerà forse (non è detto) a emulare invece che a invidiare.

Ovvero:

·         quando criterio e sapienza non vengono ascoltati da… da chi secondo la Scrittura? da chi secondo te?

·         quando cordialità costante e intelligenza discreta sono disprezzate da… da chi secondo la Bibbia? da chi secondo te?

·         quando delicatezza e affetto e rispetto e cura sono azzannati da evangelici “porci” che scambiano queste perle per ovine olive;

·         quando all’impegno a favore della sposa di Cristo si preferisce favorire la transumanza e anzi invitare le pecore di Cristo alla transumanza di ovile in ovile;

·         quando invece del Bene della comunità si ricerca il bene proprio e il plauso degli uomini;

·         quando Erodiade vuole la testa di Giovanni perché l’onesto predicatore le dice che lei è ciò che è e dice che chi sta con lei è ciò che è

 

… allora hic-et-nunc, qui-e-ora, è il momento di annunciare:

 

 

l’Evangelo per fratelli (coltelli?) e per parenti (serpenti?)

 

 

Queste brevi note vogliono essere un modesto tentativo di arginare la “marea nera” (J. Joyce) di “ignoranza e instabilità” (Pietro) che sembra avvolgere oggi società laica e credenti. Il tentativo è qoheletico, perché “non c’è niente di nuovo sotto il sole”, e lo scopo è faticoso seppure antico, perché antichi sono i tentativi di stravolgere le Scritture, le difficili e le facili, ispirate da Dio. Un dato essenziale del problema, un elemento da tener sempre presente è che:

 

·         tali tentativi sono attuati da “uomini ignoranti e instabili” (2 Pt 3,16).

In una società dove tutti usano parole (cellulari, SMS) ma nessuno comunica (che significa com/unic-are?), si dovrebbe cercare di evitare le banalità e la banalizzazione dell’Evangelo. Può diventare banale anche dire: Bisogna fare ciò che la Scrittura dice.

Se si prova a chiederne il motivo o un significato o un ragionamento o una comparazione testuale o un’osservazione filologica o un’analisi esegetica (non eisegetica) o contestuale, si rischia di ricevere per risposta una serie di diapositive power point (che può servire, ma spesso cela incompetenza comunicativa e ignoranza). Si può provare per esempio a chiedere: Bisogna ubbidire alla Scrittura anche quando si contraddice? E si può verificare se chi usa parole in libertà (= ignorante) ha il coraggio di dire di sì; anzi che bisogna ubbidire soprattutto quando essa si contraddice:

 

Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza
per non divenire anche tu simile a lui.

Rispondi allo stolto secondo la sua stoltezza
perché egli non si creda saggio.

(Prov 26,4 s.)

 

Ma ecco il punto dolente. Per superare le difficoltà testuali (contraddizioni) occorre la “pazienza” del “ragionamento” scritturale e amore umile per la verità; cose faticose, ma remunerative (Rm 15,4; Atti 17,2; Ef 4,15). E, sempre come diceva dolcemente la maestra alle elementari, qui casca l’asino. Perché proprio qui può rivelarsi la evangelistica reputazione immeritata di chi, ignorando il ragionamento sul testo biblico originale, cerca di supplire a tale seria carenza con immaginifiche invenzioni o ricopiature mal fatte o citazioni internettistiche (ci si passi il neologismo).

In questa paginetta si vuol dimostrare anzitutto la validità e serietà e bellezza della seguente formuletta capitale:

o la fede in Cristo è etica o non è

 

La sua dimostrazione è bene attestata nei fatti, racconti, ragionamenti, brani biblici e in tutte le epistole, dotate in genere di una sezione biblico-teologica e di una sezione parenetica (p.es. Ef, Col). Qui però ci si contenta di citare quel giudeo cristiano che tanto ha da insegnare, fondandosi sia sulla cultura della Bibbia ebraica ispirata sia sulla guida dello spirito del Cristo:

 

(…) chiunque avrà osservato tutta la legge, e avrà fallito in un solo punto, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha anche detto: Non uccidere

 (Gc 2,9 s; v. contesto).

 

Si vedrà più oltre che il parallelo adulterio // omicidio si rivelerà illuminante.

La fede che “non ha opere”, cioè la fede che non agisce per il bene dell’altro (etica), “è per se stessa morta” (Gc 2,17; v. contesto). La nostra formuletta capitale resta dunque dimostrata.

 

 

 

Tutto il paese sapeva che Erodiade era sposata. Nei pub e nei ritrovi giovanili lo sapevano tutti. Solo l’insensato ignorava che Erodiade fosse la moglie d’un altro. Cioè, fece finta di ignorarlo (“Chissà che mi dirà Giovanni quando saprà che mi sono messo con Erodiade!”). Fece quindi finta di non sapere che:

 

Chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se la moglie, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio (Mc 10,11).

 

Marco presenta la norma generale, utile ad affrontare e risolvere il problema. Nel contesto Gesù ha richiamato le parole finali della legge mosaica in cui si parla della creazione della donna: “I due saranno una sola carne”. Ne conclude “talché non sono più due, ma una stessa carne. Quello dunque che Dio ha congiunto l’uomo non lo separi”. L’unione coniugale a due è stata sancita direttamente da Dio, per cui non può essere infranta da alcuna legge umana. Non ci può essere alcun ripudio da parte del marito o della moglie (o di entrambi) che possa spezzare la nuova personalità a due costituitasi col connubio coniugale. Il mandar via, il ripudio – sia da parte dell’uomo sia della donna – non scioglie il vincolo, ma rende adultero colui/colei (o entrambi) che passa a seconde nozze. L’atto del mandar via non infrange il vincolo stabilito da Dio, e non può restituire ai due coniugi quella libertà (di risposarsi) che tanto ebrei che pagani attribuivano al ripudio stesso.

 

·         Non è strano che oggi alcuni sembrano pensarla proprio come gli antichi ebrei e pagani?

 

La norma di Gesù raggiunge una profondità ben maggiore. Più che sottolineare l’indissolubilità del matrimonio, essa vuole ristabilire la unione monogamica originariamente intesa da Dio. Per il costume ebraico, l’uomo poteva unirsi a una donna qualsiasi senza violare il diritto della propria moglie; gli era proibito solo unirsi con una donna sposata perché in tal caso avrebbe violato il diritto del marito di lei. Gesù, al contrario, afferma qui che unirsi con un’altra donna significa peccare contro la “propria” moglie. Gesù pone così la moglie sullo stesso piano di parità del marito. Come la donna sposata non può – senza incorrere in adulterio – unirsi a un altro uomo, così un marito non può unirsi con un’altra donna, perché peccherebbe contro sua moglie. Il matrimonio implica quindi una unione a due che non può essere infranta dal ripudio. Qui non entra affatto in considerazione il caso eccezionale in cui uno dei due coniugi “abbia già infranto tale unione con l’adulterio” – di ciò tratterà Matteo.

In Marco Gesù enuncia dunque la regola generale. E per ora stiamo alla regola, che è limpida. “La chiarezza del detto in Marco e Luca è indiscussa” (J.L. McKenzie). Negli ultimi venti secoli le chiese ortodosse (orientali), le chiese latine (occidentali), la chiesa copta, etiope, maronita, le chiese della riforma hanno compreso questa regola così come essa è espressa. Se dunque la regola è chiara, può emergere qualche domanda e osservazione critica:

 

·         è erroneo operare un’inversione, facendo diventare l’eccezione regola e la regola eccezione; se si fa così, si adotta il criterio biblico o l’arbitrio?

·         esplicitiamo: quando ci si arrampica a tutti i costi sullo specchio dell’eccezione, non lo si fa forse per far dimenticare la regola? Ma così si ragiona secondo il criterio di Cristo o secondo un criterio interessato?

·         innescare calunnie contro Giovanni il battezzatore che predica la regola di Gesù e innalzare contro di lui “piramidi di fango” (A. Camilleri) nel tentativo di far dimenticare la regola è da discepoli di Gesù o da “lupi rapaci”?

·         affermare che se marito e moglie si separano oggi e poi entrambi si risposano allora la regola non li riguarda, non equivale forse a vanificare la parola di Gesù?

·         esplicitiamo: che cosa accade se nella regola si introduce – surrettiziamente – il fattore tempo? Si discuta sulla questione, ma ne discutano medici, non macellai. Qualche spunto interessante:

-  nell’ambito dei matrimoni falliti e successive nozze lo si chiama waiting game o gara dell’attesa – i macellai ignorano questa terminologia, ma sposano il concetto. Moglie e marito non vanno d’accordo e si dividono. Poi restano in attesa, waiting, appunto, o in stand by (le stupidaggini dette in inglese sono così esotiche!). Così il primo dei due che cade in adulterio libera/libererebbe l’altro coniuge dal vincolo matrimoniale in modo da poter risposarsi, perché Gesù ha detto…

-  Si possono porre diverse domande, ad esempio: è davvero questo che dice Gesù nell’Evangelo? O questo è un abuso del “quando non sia per causa di fornicazione”, letto male e in chiave legalistico farisaica (Mt 19,9)? Che cosa significa che chi lascia la propria moglie “la fa essere” adultera (Mt 5,32)? Dunque: lui lascia lei, ma diventa lui stesso responsabile del peccato (adulterio) di lei? Come valutare e arginare l’efficace capacità del male di moltiplicarsi in questo modo? E sciogliere un tale problema sarebbe facile come dire tana libera tutti grazie a chi vince la gara dell’attesa? [Il problema posto dal waiting game può essere risolto alla luce dell’Evangelo, ma al Lettore può essere utile cimentarvisi].

 

 

Padre e madre saggi

Gli scriteriati mostrano di ignorare sia la regola di Cristo sia gli avvertimenti etici del “padre e della madre sapienti” che parlano con preoccupazione all’inizio del libro di Proverbi:

 

Ero alla finestra della mia casa, e dietro alla mia persiana stavo guardando, quando vidi, tra gli sciocchi, scòrsi tra i giovani, un ragazzo privo di senno, che passava per la strada, presso all’angolo dove lei abitava, e si dirigeva verso la casa di lei, al crepuscolo, sul declinar del giorno, allorché la notte si faceva nera, oscura (Prov 7,6 ss.; v. pure 1; 5; 6,2 ss.).

 

Notte nera, oscura, che pervade il cervello del giovane privo di senno. Un pensiero buio lo guida all’insensatezza, che gli fa dire che:

 

l’adulterio è un peccato che uno fa e poi chiede scusa e passa tutto.

 

Questa frase, pur aberrante, è significativa e consente, come insegna N. Chomsky, di entrare nel cervello del giovane. L’organo è spento. La frase è, purtroppo, il prodotto di una mente resa ottusa da un’ignoranza inattesa in un credente che “per ragioni di tempo dovrebbe esser maestro” (ma cfr. Eb 5,12 ss.). La logica scriteriata della frase è che:

la fede è cosa diversa dall’etica,

in contraddizione perfetta con la formuletta capitale dimostrata sopra.

Beato il giovane che non è moralmente orfano ma che ha “un padre e una madre saggi” che gli ricordano:

 

Uno si metterà forse del fuoco in seno senza che i suoi abiti si brucino? (…). Chi commette un adulterio è privo di senno; chi fa questo vuol rovinar se stesso. Troverà ferite e ignominia, e la sua vergogna non sarà mai cancellata… (Prov 6,27 ss.).

Beato il giovane che non è moralmente orfano, e che ha “un padre e una madre saggi” che non lo spingono verso la donna che si trova nelle condizioni indicate da Gesù, la quale si offre con disinvoltura al proprio e all’altrui adulterio (Mc 10,11). L’adulterio è un peccato che uno fa e poi chiede scusa e passa tutto. Questa frase grave è la dichiarazione al maschile dell’analoga espressione antietica al femminile:

 

Tale è la condotta della donna adultera:

ella mangia, si pulisce la bocca, e dice:

Non ho fatto nulla di male!

(Prov 30,20).

 

Queste vogliono essere note sintetiche, perciò si rileva solo il valore eufemistico di “mangiare” e “pulirsi la bocca”. Si sottolinea invece il perverso “non ho fatto nulla di male!”

 

 

Adulterio e omicidio, il parallelo giacobiano

Si è detto sopra che nella lettera di Giacomo il parallelismo tra adulterio e omicidio si rivela illuminante. Purtroppo non si tratta di semplice esercizio retorico. La reazione dell’insensato a chi lo avverte di non proseguire sulla via dell’adulterio è sorprendente. Ma è analoga alla reazione del giovane catanese che, dopo aver confessato di aver strangolato una quattordicenne, chiese al giudice:

 

Signor giudice, le ho confessato tutto. Ora posso andare a casa?

(Giornale di Sicilia, 16/05/2008).

 

Si parlò allora di mancanza di sentimenti, di un ragazzo che non realizzava ciò che aveva fatto. La psicologia dell’Evangelo, più seria, offre questa diagnosi: “mancanza di affezione naturale” (Rm 1,31). La mente è spenta nel black-out cerebrale:

 

·         L’adulterio è un peccato che si fa e poi si chiede scusa e passa tutto

·         Signor giudice, ora posso andare a casa?

 

Giacomo ci aiuta a ragionare. Colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha anche detto: Non uccidere. Chi uccide, confessa e poi vuole andare a casa desta ancor oggi una certa meraviglia. L’adulterio non più. Non lo si commette. Non è percepito come peccato. Poi passa tutto. Per qualche ragione (ma c’è davvero una ragione?) ci si sta abituando a porre i due atti su piani del tutto diversi. Non si tratta forse di una delle mille modalità di desensibilizzazione a ciò che è bene e ciò che è male?

 

***      ***      ***

 

Così, con un atto plateale d’ignoranza etica e con tentativi vari di intorbidare la regola di Gesù mediante erodiane calunnie, principia la storia. Storia che adduce “infiniti lutti”, come canta Omero e come mostrerà la vicenda.

·        Quasi una parabola. Se si ha bisogno dell’aspirina si può andare dal medico di famiglia per la prescrizione del farmaco. Se si necessita di chirurgia cardiovascolare occorre lo specialista. Se però un padre consulta il macellaio, caro amico di vecchia data, per far operare il proprio figlio cardiopatico e il macellaio osa entrare in sala operatoria, è auspicabile che entrambi siano condotti subito in un buon centro per l’igiene mentale onde ricevere le urgenti cure necessarie.

·        Morale: in ambito biblico l’ignoranza presuntuosa non deve passare. Errare è umano, ma aver stima dell’ignoranza e perseverare in essa porta a risultati disastrosi. Che sia tempo di rammentare e praticare l’evangelico “basta”?

Dove l’ignoranza passa per sapienza e l’incapacità per competenza, vengono assassinati il merito, lo studio, la conoscenza, l’amore umile alla verità e lo stesso spirito della verità. Ma l’uomo si valuta alla “prova” (Giacomo), la quale fa emergere incompetenza e reputazione immeritata.

Se davvero si accolgono le relazioni:

 

ignoranza = sapienza           e          incapacità = competenza

 

piovono pietre, soffia il venticello della calunnia (G. Rossini). Si dicono e si ascoltano scempiaggini assortite con bibliche elucubrazioni, si ripetono stoltezze. “Le parole del maldicente sono come ghiottonerie”, sono “penetranti(Prov 18,8) come il sesso abusato descritto in Levitico 18 [occorre proprio leggerlo questo brano, altrimenti non s’intende]. Si realizza la tragica profezia oseana sulla sposa infedele:

 

Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza [ignoranza!]. Siccome tu hai sdegnata la conoscenza, anch’io sdegnerò di averti per sacerdote; giacché tu hai dimenticata la legge del tuo Dio, anch’io dimenticherò i tuoi figlioli (Os 4,6).

 

In una società ridotta a postribolo a cielo aperto, cristiani tonti, finti tonti, ignoranti o dotati di evangelistica reputazione immeritata, fratelli (coltelli?) e parenti (serpenti?) vengono penetrati dall’andazzo del mondo, si spingono pecorelle alla transumanza di ovile in ovile, si semina morte. Così la profetica parola oseana si attua ancora in tutta la sua potenza.

E il giovane insensato? Quale speranza per lui? Quale futuro per colui che riesca a sfuggire al guinzaglio di Erodiade? Anche se fosse moralmente orfano, avrebbe pur sempre una Madre che gli è anche Padre, che lo consiglia per il suo Bene:

 

Come potrà un giovane tenere pura la sua via?

Custodendo le tue parole.

Con tutto il cuore ti cerco:

non farmi deviare dai tuoi precetti.

Conservo nel cuore le tue parole

per non offenderti con il peccato.

Benedetto sei tu, Signore;

mostrami il tuo volere.

Con le mie labbra ho enumerato

tutti i giudizi della tua bocca.

Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia

più che in ogni altro bene.

Voglio meditare i tuoi comandamenti,

considerare le tue vie.

Nella tua volontà è la mia gioia;

mai dimenticherò la tua parola (Sl 119,9 ss.).

 

 

 

 

 

 

Saluto

 

Caro Lettore, si spera che tu non sia desocupado (sfaccendato) come quello a cui si rivolge Cervantes nel Don Chisciotte, ma ti si augura impegno e vigilanza.

 


 

Feriae Augusti, Anno Domini 2014

 

Ove si dimostra, tra le altre cose, l’importanza creativa della oralità della parola,

si dice della benedizione di avere genitori come Elkana e Anna
e della maledizione di avere genitori quali Anania e Saffira.

Dove si annuncia il destino degli “sleali” e il Lettore è messo in grado di

rispondere alla domanda critica: posso sposare chi ha “dimenticato” il suo “patto”?

 

.

 

 

 

 

 

Non cadrà / 2

 

 

 

 

Il libro di Proverbi appartiene alla grande letteratura sapienziale della Bibbia ebraica, quella che così spesso echeggia nelle parole di Gesù Cristo e degli scrittori neotestamentari, in particolare di Giacomo: “Se qualcuno manca di sapienza la chieda a Dio, che la dona generosamente…”. Giacomo sa bene, infatti, che è Dio il generoso donatore di saggezza: “Infatti l’Eterno dà la sapienza; dalla sua bocca procedono la conoscenza e l’intelligenza” (Gc 1,5 e Prov 2,6).

A qualunque età, chi può dire di non aver bisogno di aderire alla preghiera suggerita da Giacomo? Nonostante l’ondata giovanilistica che percorre oggi il nostro Paese – chiacchiere, come al solito, vista la disoccupazione giovanile; nonostante inviti, convegni e oceanici congressi giovanili e minuscole adunate riservate a giovani – ancora, di molte chiacchiere fatte ad arte per il mercato giovanile; la Scrittura, e in particolare Proverbi, ritiene ancora che il giovane necessiti di apprendere il “rispetto di Dio come principio della conoscenza” (1,7), che necessiti di “istruzione, insegnamento” (1,8) e di intendere “tutte le vie del bene” (2,9). Il giovane infatti rischia di seguire il male se si fa sedurre da chi fa il male (1,10 ss.). Quest’ultima nota tornerà utile poco più avanti.

Un commento testuale a Proverbi è fuori della portata di queste note, ci si accontenterà di appuntare la nostra attenzione e, speriamo, quella del Lettore su un

 

consiglio  proverbiale saggio
e sul corrispondente

consiglio proverbiale stolto

 

tenendoci ai primi due capitoli del testo di Proverbi. Il libro si presenta come “di Salomone, figlio di Davide, re d’Israele” (1,1), forse più un’attribuzione letteraria onorifica che reale. Salomone, il patrono della sapienza, il sapiente per antonomasia di cui si sentono discendenti diretti persino i moderni etiopi! Nei testi antichi quello del vero Autore è un non problema, e forse una dedica alta intende affermare subito l’altezza morale dei contenuti testuali.

Anche lo scopo è esplicitato subito in modo netto: render nota la “sapienza”, istruire, far comprendere i detti dotati di senso e apportatori di “assennatezza”; fornire “avvedutezza” agli ingenui; equipaggiare “il giovane” con “conoscenza e riflessione” (1,2 ss.). D’altro canto, le cose che l’A. si propone di dire sono così elevate che persino “il saggio” e “l’intelligente” potranno giovarsi di “proverbi, allegorie, parole dei saggi ed enigmi” (1,6) che stanno per essere sciorinati come bucato profumato steso al sole e al vento di Palestina – povera terra del latte e del miele, di cannonate e bombardamenti e morti in questa estate 2014.

L’A. ha così a cuore il suo scopo morale che in vari momenti di questi primi due capitoli ricorre a espedienti letterari utili da un lato ad attrarre la mente del suo “giovane” Lettore e dall’altro ad avvalorare ciò che dice. Ecco infatti che al giovane parlano anzitutto:

 

“il padre e la madre” (1,8):

cioè due autorità morali spirituali alte per chi aveva / ha la benedizione di avere genitori del calibro di Elkana e Anna, Abramo e Sara…;

(diverso è il caso che si abbia per genitori Anania e Saffira o Achab e Jezabel…).

 

Subito dopo entra in scena “la sapienza” stessa, che grida, chiama, interroga, richiama, avverte (1,20-23). La sapienza agisce mediante la parola. A tale proposito, si legga lo stupendo Prov 8 – altra versione del racconto della creazione – che molto potrebbe insegnare sul valore della parola:

dialogo, apertura della mente, ascolto attento, conversazione sapiente, spiegazione

 

contro

 

chiacchiera, calunnia, chiusura mentale, violenza verbale, vendetta parolaia.

 

Si pensi anche al valore della oralità della parola (nel testo biblico tutti i verbi riguardanti predicazione, insegnamento, comunicazione hanno proprio questo significato e valore) contro altre forme, mezzi, strumenti di comunicazione che si vanno aggiungendo alla parola nel tentativo di persuadere meglio (?). Ebbene,  la parola della Sapienza è:

·        pubblica – parla “ai crocicchi… all’ingresso delle porte”: nulla di furtivo nella sua parola, ben diversa quindi dalle parole di chi calunnia, sparla per invidia o malanimo;

·         franca – “chiama… pronuncia discorsi…”: di nuovo, schiettezza che non ha nulla a che vedere con il parlare alle spalle, con la mal/dicenza (= male/dire!), con il basso calcolo;

·         preoccupata – “Fino a quando, o insensati?” odierete la conoscenza per stare attaccati ai vostri sporchi e bassi interessi? È la preoccupazione reale di chi non vede l’ora che finiscano le stoltezze e gli stolti che le seguono, schernendo la saggezza;

·         attrattiva – attrae gli insensati promettendo loro il suo “spirito” e la conoscenza delle sue “parole”: Gesù non seguirà proprio un analogo procedimento morale?

·         responsabile – “Ma siccome quando ho chiamato avete rifiutato di ascoltare… avete respinto il mio consiglio e della mia correzione non ne avete voluto sapere…”: ci saranno conseguenze serissime…

 

… quando infatti sarete presi nei lacci dei problemi esistenziali (“sventure… spavento… tempesta… angoscia…”), voi mi chiamerete ma io non risponderò, mi cercherete, ma non mi troverete (Prov 1,20 ss.). Come mai? Che significa? Forse la sapienza è cattiva? Non vuol rispondere né farsi trovare? Nulla di ciò. La sapienza è responsabile. Fino a un certo momento infatti è possibile parlare, avvertire, ammonire, chiamare, richiamare. Poi, una volta che certe scelte sono state fatte, tornare indietro non è possibile: si chiama invano e si cerca invano la sapienza che prima è stata respinta e schernita:

non è questa una legge della vita a cui non si sfugge?

La medesima legge, ma in senso positivo, afferma:

chi ascolta [= attua] la sapienza se ne starà al sicuro,
senza paura d’alcun male (1,33).

 

 

“Figlio mio” (2,1)

L’attenzione amorevole dell’A. si volge di nuovo al “figlio mio”. È la quarta volta che la parola “figlio” viene usata: una volta “figlio di Davide” (1,1) e tre volte “figlio mio” (1,8.10; 2,1). Salomone doveva sapere di aver avuto un fratellino che suo padre e sua madre, Batsheba, non avevano potuto salvare. Si rifletta:

·         “figlio mio” è la sommessa perorazione accorata, preoccupata di un “padre e una madre sapienti” che vogliono salvare il figlio;

·         è forse il grido di Dio, padre/madre, che tenta di ri/prendere la sua creatura? Adamo, dove sei? È la domanda ancestrale echeggiante dalla notte dei tempi e posta sulla bocca di un Dio che cerca chi “è nascosto” e non vuole farsi trovare… (domanda critica: dunque davvero chi cerca trova?).

·         Oppure, forse, in quel “figlio mio” c’è la tutta la preoccupazione amorevole di chi è intervenuto a cercare di salvare tuo figlio come fosse suo figlio, e grazie a Dio lo ha salvato con sapienza e “garbatezza”, senza sollevare polvere ma con accuratezza delicatezza amorevolezza.

·         Domanda critica: dunque, quando tu potrai fare qualcosa per aiutare il figlio di chi ha salvato tuo figlio sarai meno generoso? meno accurato? meno garbato? meno delicato? meno amorevole? Come potrai, per esempio, adoperare un linguaggio da postribolo (indegno di Cristo), toni accusatori e parole sciape nel trattare il figlio di chi ha salvato tuo figlio?

 

Il “padre e la madre sapienti” (= la Sapienza, Dio) desiderano il bene del figlio, per questo gli parlano con saggezza. Ed ecco ciò che essi non fanno:

·         ciò che proprio non fanno (non dovrebbero fare) è trattare con presunzione, stoltezza, insensatezza, ingiustizia il figlio del fratello;

·         e perché agiscono (dovrebbero agire) così? Semplice: il figlio del fratello è anch’egli “figlio mio”!

Presunzione, stoltezza, insensatezza, dissennatezza, ingiustizia son cose contrarie a quelle che noi genitori avevamo consigliato al “figlio mio”, e quindi non le adotteremo mai nel trattare il “figlio” del fratello.

Ecco invece le virtù positive, elencate in Prov 2,1-11, che sono proprio quelle che io, padre/madre, avevo raccomandato al “figlio mio”:

·         cura, prestare orecchio, inclinare il cuore all’intelligenza, chiamare il discernimento, rispetto di Dio, sapienza, conoscenza, intelligenza, equità, rettitudine, le vie del bene, sapienza, conoscenza, riflessione.

Si notino in particolare:

la sapienza – illuminerà la mente del “figlio mio”; e anche la mente del figlio del fratello?

la conoscenza – gli sarà gradevole; e lo sarà anche al figlio del fratello?

la riflessione – veglierà su di lui; e anche sul figlio del fratello?

l’intelligenza – sarà sua protettrice; e proteggerà anche il figlio del fratello?

Questa quadruplice virtù (sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza) permetterà al “figlio mio” di “scampare”. Ma scampare da quali pericoli? Il Sapiente ce ne indica due davvero terribili.

 

 

Primo pericolo letale (2,12-15)

Si tratta del modo malvagio di agire (“via malvagia”). Evitare la gente che parla di cose perverse, che si comporta in modo tenebroso, cioè in maniera non solare, nascosta, non franca, le persone che operano con sotterfugi, che agiscono per proprie jezabeliche vendette, che seguono vie “tortuose”, modi di fare e di ragionare non lineari:

·         Sono contorti, doppi, inutilmente complicati anche quando ragionano sulla Scrittura; sono “ignoranti e instabili” (Pietro); sono “uomini dalla mente doppia” (Giacomo);

·         sono tenebrosi, perché non conoscono onore e non hanno rispetto dell’onorabilità altrui;

·         godono nel fare il male perché, al contrario di quel che fa il bravo chirurgo competente, con la loro incompetenza non fanno che spandere il male;

·         pensano con le loro parole di abbassare gli altri per innalzare se stessi: troveranno sempre qualche stolto loro pari disposto a dar loro credito. Non certo Dio.

 

Secondo pericolo mortale (2,16-19)

“La donna adultera”. Pochi colpi di pennello ce la ritraggono al vivo. La sua dote è l’infedeltà, ma anche parole dolcissime; “melate”: è l’aggettivo che la Scrittura adopera per indicare parole persuasive ma false.

Questa donna ha abbandonato il “compagno della sua giovinezza”. Lei stessa non è perciò una giovane nel fiore degli anni, ma ha già una certa età, e con l’età esperienza di vita. Proprio quell’esperienza che il “figlio mio” non possiede… E mai accade che l’inesperto sia il “capo” dell’esperto (“capo”, come il marito lo è della moglie, in senso biblico).

Nel testo si menziona anche il “compagno” della donna. Forse lei era accompagnata? No, tutt’altro. Lei era legata a lui da un “patto”, anzi “il patto del suo Dio”.

·         Se c’è una “parola” fondamentale nella Scrittura, capace di concentrare l’attenzione massima dell’ebreo prima e del cristiano poi, questa è la parola “patto”. “Patto” descrive il forte rapporto d’amore, il vincolo d’acciaio tra: Dio e il suo popolo e parallelamente tra: uomo e donna (i brani sono numerosi, ad es. Mal 2,14b; cfr. De Vaux, Scorer).

·         D’altra parte è disperato e disperante parlare in termini di “patto” a un mondo che ha rotto tutti i patti, di qualsiasi genere (“il mondo è fuori di sesto”, dice Amleto).

·         Persino i cristiani preferiscono talvolta (quando fa comodo?) fidarsi più delle parole di pagani che delle parole di credenti ai quali sono legati (o dovrebbero esserlo) da un “patto in Cristo”.

·         Un evangelista che dica che esiste un problema morale serio quando un credente si fidanza con una donna sposata (= che ha dimenticato “il patto”), vede alcuni cristiani allargare le braccia, come per dire: Che esagerato!

È questo il “patto” che la donna di Prov 2 “ha dimenticato”. Il contrario di “dimenticanza” è “memoria”, che nella Bibbia non è semplice ricordo di qualcosa, bensì “presenza”, adesione fattiva alla cosa o persona di cui si fa memoria. In questo “dimenticare il patto” sta dunque l’infedeltà. Lei era sposata con suo marito. Poi ha tradito il “patto”, ne ha perduto la “memoria”. Ha lasciato suo marito.

 

Si impongono qui domande critiche:

·         Lo ha lasciato forse perché il marito la maltrattava? Può darsi. O forse lei maltrattava lui? D’altro canto, se si riflette un momento, non è forse vero che chi lascia tende quasi sempre a trovare giustificazioni per il suo atto di abbandono? Cioè, non è forse vero che mentire a se stesse/stessi è una delle cose che riescono meglio alla persona insincera?

·         Forse la maltrattava perché aveva un’altra? Dunque l’adultero era lui? Forse è stato lui a lasciare lei? Ma allora perché accusare lei di adulterio?

·         Sarebbe diversa la loro reciproca responsabilità verso il “patto” se marito e moglie si fossero lasciati decidendo unanimemente di rompere il “patto”?

·         Questa donna forse da già qualche anno non vive più col marito; dove sta perciò o in che consiste l’adulterio di cui l’accusa il Sapiente? Tanto più che il marito probabilmente è sposato / accompagnato con un’altra… Dunque, forse il Sapiente sbaglia nel considerarla “adultera”?

·         Forse la donna ha già chiesto perdono a Dio del suo “abbandono”. E forse Dio l’ha già perdonata. Dov’è perciò il suo adulterio? Qual è il problema..?

·         D’altra parte, il fatto che lei abbia “lasciato il compagno della sua giovinezza” non potrebbe/dovrebbe farmi riflettere e considerare che, domani, potrebbe lasciare me, giovane compagno della sua maturità?

·         Perché nel contesto immediato si legge che “la casa dell’adultera pende verso la morte, e i suoi sentieri conducono ai defunti”? Che cosa significa questa inattesa menzione di morte e defunti in un contesto in cui il verbo dominante è “scampare”?

·         Come mai è scritto che “nessuno” di quelli che si uniscono a lei riprende poi il sentiero della vita? vuol dire cioè che muore? Ma perché e in che senso muore? Ecco evocata di nuovo la morte. Ma come si può morire se si sta insieme a una donna ancora piena di vita?

·         Dato che qui mi si avverte di “scampare”, il che richiama un pericolo serio, non dovrei già soltanto per questo motivo chiedere a Dio quella sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza che mi soccorra per poter “scampare”?

·         E tu, Lettore sfortunato, che vivi nell’epoca dei massimi sistemi di conoscenza eppur di massima diffusione d’ignoranza, credi proprio che ci debba essere sempre qualcuno che ti fornisca le risposte esistenziali, senza che tu ti assuma le tue personali responsabilità delle tue scelte di padre, di madre, di figlio, di figlia?

·         Credi proprio che la gente ti debba giustificare solo perché ti lamenti incessantemente di problemi che forse sono il risultato delle tue scelte nella vita e dietro i quali pensi di celare te stesso e le tue responsabilità? (Ancora e con preoccupazione crescente: Adamo, dove sei? ---- Mi sono nascosto).

·         Non pensi sia venuto anche per te, padre, madre, figlio, figlia, il momento umile di chiedere a Dio sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza per rispondere fattivamente e in prima persona a guai, problemi, drammi e tragedie che tu hai creato con la tua insipienza e stoltezza e mancanza di conoscenza?

 

Tenendoli a debita distanza, si dica ai folli che la vita non è un blog, né messaggini girati a destra e a manca, né svergognate paginette facebook con amenità da sfaccendati in rete. Dove c’è puzza di morti e defunti c’è poco da mettersi in mostra. Hanno ben poco da chattare coloro che dicono di credere che “la parola è Dio” e la usano ben poco divinamente. Qui c’è solo la vita che dice: Non c’è scampo per gli stolti. E una volta tanto, ma più spesso di quanto non si pensi, la vita e la Bibbia sono d’accordo. O si prende “la via dei buoni” o c’è lo “sterminio” (2,20.22; e poco importa che lo sterminio sia escatologico o apportato da una cultura religiosamente diversa ma che forma famiglie salde che ancora conoscono la differenza tra onore e vergogna).

Comunque tu risponda alle domande critiche poste sopra (rivolte a medici coscienziosi, non a macellai senza onore), comunque tu risponda esistenzialmente a quelle domande e ad altre che la tua riflessione ti proporrà, gioia e giustizia afferrano il Lettore che s’accosta al libro di Proverbi con onestà e rispetto quando legge la chiusa del capitolo 2:

gli sleali saranno divelti dalla terra (2,22b).

Una frase che è squillo di tromba apocalittica. Ricordiamo la quadruplice virtù? Sapienza+conoscenza+riflessione+intelligenza. Ebbene, se sono stolto posso chiedere a Dio sapienza, la riceverò (saggezza). Se sono ignorante posso imparare dalla Parola, migliorerò (conoscenza). Se sono irriflessivo posso darmi a “scavare” discernimento, lo troverò (riflessione). Se sono stupido posso chiedere a Dio di farmi trovare la sua conoscenza, progredirò (intelligenza).

Ma se sono “sleale”, se mi comporto in modo “sleale”, se parlo e agisco in modo “sleale”, se la mia cifra è doppiezza ipocrisia invidia menzogna, se oggi affermo e domani nego una stessa cosa, allora posso star certo che:

 

NON HO SCAMPO.

Slealtà:

·         le tue domande sono fastidiosamente maleducate (hai persino osato chiedere ad Eva: Quanto pagate d’affitto in questo giardino?) – non hai scampo;

·         hai tentato di entrare in casa d’altri e di mettere marito contro moglie – non hai scampo;

·         invece di rispettare l’integrità della famiglia del Signore hai tratto vantaggio da amicizie e parentele per trascinarti dietro discepoli – non hai scampo;

·         hai profittato della generosità del fratello per metterlo in cattiva luce – non hai scampo;

·         il fratello nel “patto di Cristo” ti telefona per avvertirti di un male in atto e tu registri a sua insaputa la telefonata... (lo ius romanum, il diritto romano, operò male nel caso di Gesù, il codice penale può non servire, ma l’Evangelo del regno di Dio ti dice che sei in mala fede) – non hai scampo;

·         hai sminuito la calunnia pagana fatta ai danni del fratello – non hai scampo;

·         hai calunniato amici “in Cristo” da cui hai tratto aiuto e incoraggiamento – non hai scampo;

·         ad alcuni hai detto che la famiglia di Dio fa solo chiacchiere; con altri lo hai negato – non hai scampo;

·         commosso, dai la mano di associazione al pastore che ha tolto il tuo agnello dai rovi salvandolo, mentre già ti rivolgi al macellaio perché getti di nuovo il tuo agnello nel folto della boscaglia per perderlo – non hai scampo.

 

Slealtà: puoi chiamare il mondo intero. E convincerlo. Puoi telefonare a tutti. E convincerli. E farti amici tutti. E convincere parenti (serpenti?), fratelli (coltelli?), amici (nemici?). Pur di farti credere puoi piangere. E puoi ridere. La tua patologia resta conclamata:

Non hai scampo: sarai divelto
(il passivo del verbo indica un’azione di Dio, non di uomini).

Un cieco guarito da Gesù vede uomini e gli paiono “alberi”. Lo sleale è un albero che, al tempo e al momento che Dio vuole, ha un destino segnato:

sarà divelto dal terreno,

perché si possono gabbare tutti per poco tempo; si possono gabbare pochi per tanto tempo; ma non si possono gabbare sempre tutti (A. Lincoln). L’albero dai frutti sleali sarà sradicato. Da Dio.

 

 

 

 

 

 

Saluto

 

La domanda era: qual è il consiglio proverbiale saggio e qual è il consiglio proverbiale stolto dati al “figlio mio”? La risposta al Lettore sapiente attento intelligente. Gli si augura impegno e vigilanza e divino discernimento.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

Feriae Augusti, Anno Domini 2014

A duemila anni esatti dalla morte di Gaius Iulius Octavianus Augustus

23 settembre 691 ab urbe condita - 19 agosto 14 d.C.

 

 

Ove si rammenta che Ottaviano impose la pax romana mediante il gladio.

Gesù, principe irenico, ottenne pace mediante la parola.

Dove si risponde alla sublime domanda teologica capitale sul perché
Giovanni il battezzatore non abbia/avrebbe evangelizzato Erodiade.

Dove si tratta di onore personale disonorevole e disonorante

e di famiglia disonorevole e disonorante. Eppure, ciò nonostante, si propone

positivamente il valore attuale della ricerca di

“gloria, onore e immortalità” presso Dio (Rm 2,7).

.

 

 

 

 

 

Non cadrà / 3

 

 

 

 

Si celebra il secondo millennio dalla morte di Ottaviano – celebrare le morti sarà un ulteriore segno di declino? – e il mausoleo del primo imperatore di Roma si allaga come è accaduto proprio intorno alla metà di agosto. Né romani de Roma né turisti per caso possono accedervi. Il mausoleo si richiude come se l’imperator che aveva trovato Roma costruita di mattoni e l’aveva lasciata ricostruita in marmo, volesse non vedere la ignoranza e instabilità culturali che caratterizzano l’attuale povera Roma (povera Italia, e povere chiese…), che deve accontentarsi di Totti imperatore – e non è poco.

I brani biblici cui si farà riferimento in queste note sintetiche sono: Mc 6,14 ss; Mt 14,1 ss; Lc 3,19 s. e 9,7 ss. Il Lettore è consigliato di rileggerli per familiarizzarsi coi testi.

 

 

Famiglia, parentela e ruoli drammatici: Marco ci porta a teatro

Si accenna a un po’ di storia delle parentele in quella che può esser letta come una tragedia, e non solo per Giovanni il battezzatore che morirà decapitato dalla mannaia d’odio, d’ignoranza, di rancore.

Erode il Grande – quello della strage degli innocenti, per intenderci – ebbe una famiglia ben poco esemplare. Lui e i suoi discendenti furono cospiratori, intrallazzatori, calunniatori, maldicenti, insabbiatori, villani, donnaioli, incestuosi, adùlteri, fornicatori, spie, spiati, bugiardi, macchinatori di mali, arroganti.

Non si possono scegliere né i genitori né la famiglia da cui nascere. Ma ci sono famiglie che sembrano tarate. Uno degli aspetti della modernità e della postmodernità sembra esser questo: che quanto di negativo accadeva un tempo in famiglie altolocate accade oggi in famiglie comuni.

Quando Gesù stabilisce la sua parentela nel suo sangue (Lc 8,19 ss.), è consapevole di attuare rotture proprio all’interno della famiglia umana: il padre contro il figlio, la figlia contro la madre e nemici in casa propria… a causa della buona notizia di Cristo! Talvolta i suoi discepoli non ne sembrano altrettanto consapevoli. Per questo motivo occorre ribadire (e la cosa non è ovvia) che i cristiani sono – dovrebbero essere – persone sante anche nella loro testimonianza famigliare. Intrallazzi, calunnia, maldicenza, arroganza, adulterio, fornicazione, bugia, cattivi sospetti, macchinazioni e dulcis in fundo volgarità, doppiezze e simili non dovrebbero albergare nella casa dei credenti, perché qui si riflette il reame di Dio. Ma è sempre così? È ovviamente così?

 

Un tempo il teatro aveva un’importante funzione sociale (ce l’ha ancora, nonostante tutto), serviva da specchio al popolo e ai potenti che vedevano riflesse sulla scena le varie problematiche del momento. La narrazione di Marco è quasi un copione del dramma che, antico di duemila anni, si ripropone mutatis mutandis (cambiando quel che c’è da cambiare) sulla scena sociale anche oggi, “dentro e fuori” le chiese (Non giudicate voi quelli di dentro? Quelli di fuori li giudica Dio… 1 Cor 5,12). Che qualcuno si riconosca nella vicenda drammatica narrata da Marco è possibile, seppur improbabile. Ma se ciò dovesse accadere, non può prendersela né con Marco né con Dio che l’ha ispirato, ma solo con se stesso riflesso nel dramma teatrale che mostra la vita.

 

Dramatis personae, personaggi principali del dramma:

o  Erodiade: poco più di trent’anni, figlia di Aristobulo, nipote di Erode il Grande, sorella di Erode Agrippa I, moglie di Erode Filippo (suo zio) da cui ha una figlia, Salome (giovane, ambiziosa, danzatrice attraente).

o  Erode Antipa(-tro): figlio di Erode il Grande, fratellastro di Erode Filippo, zio di Erodiade. Governa Galilea e Perea per lascito testamentario paterno. Confermato da Ottaviano, avrà familiarità anche con Tiberio, che servirà in qualità di spia contro i magistrati romani in oriente, incluso Pilato (ciò spiega Lc 23,12).

o  Giovanni il battezzatore: 27 anni circa, predicatore che incute, impetuoso, dai modi diretti, ottimo conoscitore della Legge di Mosè, degno parente di Yehoshua (Gesù di Nazaret), ritenuto dal popolo un profeta di Dio [è raro, ma talvolta accade che la vox populi coincida con la vox Dei].

 

Gli antefatti si sono già svolti, in un luogo che gli evangelisti neppure nominano, Roma. Qui Erode Filippo risiede con la bella moglie Erodiade; assieme fanno vita di corte. Antipa viene accolto fraternamente in casa loro durante un viaggio a Roma. Tra Antipa e Erodiade è amore a prima vista, cioè adulterio continuato, cioè fornicazione [fratelli coltelli! appunto]. Antipa ripudierà poi sua moglie – figlia del re dei Nabatei, Areta iv – e sposerà Erodiade, la quale porterà con sé la figlia Salome (avuta da Filippo), giovane dote di cotanta madre. Il dramma inizia dunque in medias res, nel mezzo dell’azione. La testa di Giovanni è già caduta…

Oggi il tetrarca Antipa è agitatissimo, il palazzo è in subbuglio, le guardie sono in allerta, le donne e Erodiade parlano sussurrando. Che accade? Accade che al telegiornale hanno dato in diretta due interi minuti della predica dell’ultimo predicatore che si è presentato qui in Palestina.

·        Sono tempi strani, lontani anni luce da noi, quando predicazione e predicatori (medici seri) potevano ancora scuotere le mura del palazzo… oggi siamo progrediti e moderni: il predicatore che cerchi di scuotere i cristiani dalla loro immoralità viene attaccato e scoraggiato in ogni modo; il suo collo è in pericolo; se ne vuole la testa in dono.

Ecco dunque che la predicazione sapiente e la fama ben meritata di Gesù gettano nello sgomento il superstiziosissimo e ignorantissimo Antipa: “Quel Giovanni che io stesso ho fatto decapitare, è lui che è risuscitato!” (Mc 6,16). La paura attiva la coscienza, che rimorde. Gli occhi di Antipa – dei suoi occhi si dovrà riparlare – vedono Giovanni redivivus, il profeta tornato dallo sheól. Antipa vede e teme: “è Giovanni risuscitato!”

·        Strano, vero?, come la paura abbia il dono di riattivare nella mente potenzialità che sembravano seppellite e dimenticate;

·        Antipa ammette e confessa d’esser proprio lui il mandante dell’assassinio di Giovanni; non prova neppure ad accennare a responsabilità indirette di altri: Erodiade? Salome?

·        Antipa crede! È fede vera: gli si riaccende dentro d’improvviso la fede nientemeno che nella risurrezione dei morti. A lui che era “ellenista e sadduceo” (F. Salvoni) torna la fede nell’Unico che può attuare la risurrezione! È fede falsa: frutto di paura e non d’amore sincero: “Anche i demoni credono e tremano…” (Giacomo). Antipa è demonio: crede e trema. Ma non si ravvede [si esamini bene che cosa sia davvero il ravvedimento / metánoia se si vuol fare i cristiani e non solo fare numero];

·        Potenza della paura: dinanzi all’Unico che può far rivivere, Antipa non può mentire a se stesso!

 

È a questo punto che la voce narrante di Marco si leva e, con una lunga analessi (flashback), ricorda e racconta gli eventi, che qui non ripetiamo, se non per quel tanto che basti alla nostra sintetica analisi.

 

Il motivo (Mc 6,17b)

Giovanni è incatenato in prigione “a motivo di Erodiade” moglie di Filippo, fratello di Antipa, poi sposata da Antipa.

Per negare un adulterio simile non occorrerà molto tempo al (de-)genere (dis-)umano. Lo si chiamerà sentimento profondo, irresistibile amore, romantica fatalità…

Erodiade non è solo la moglie di un altro (= adulterio, Es 20,14). L’adulterio con la sposa del fratello era in modo speciale proibito dalla Legge (Lev 18,16 e 20,21).

 

La scena si anima. Arrivano popolani, ricchi possidenti, imprenditori, entrano capitani, amici di corte, addetti del palazzo… Tutti sanno. Tutti non possono non sapere ciò che dice la Legge in merito. Che poi è ciò che ribadirà Gesù nel suo insegnamento (chi guarda una donna per desiderarla… con gli occhi si guarda…). Tutti i parenti (serpenti), tutti i fratelli (coltelli), tutti gli amici, tutti i nemici, tutti sanno.

Tutti quanti, ma proprio tutti, nessuno escluso, sanno, vedono e tacciono. È la madre di tutte le omertà. E pensare che siamo sì nel bacino del Mediterraneo, ma lontanissimi dalla Sicilia…

·        Ci sono famiglie omertose in cui si sa di lui o di lei… ma tutti stanno zitti…

·        Famiglie pagane? Forse anche cristiane? Silenzio frutto di modernità? Si sa che certe cose càpitano? Bisogna accettarle come sono? È mio fratello e non gli posso dire nulla? È mio nipote e non posso intervenire? È mio marito e sto zitta? È mia moglie e taccio? Mi faccio i fatti miei, come dice il Vangelo? [Davvero lo dice il Vangelo?]

D’improvviso la pesante coltre d’ipocrisia omertosa viene squarciata da una predica a dir poco irriverente. Una predica di quelle come non se ne sentono più da anni (i predicatori sono forse diventati presentatori? sistemati? mercenari? pieni d’aria invece che di Spirito di Cristo?). La spada di Damocle impugnata dal giovane Giovanni cala divina sul caso famigliare:

“Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!”

(Mc 6,18: in italiano sono dieci parole, nove in greco).

Giovanni, predicatore della conversione, non teme di rimproverare apertamente il comportamento dell’uomo forte: Non ti è lecito…

 

 

Giovanni ha sbagliato?

Anche duemila anni fa c’era il social network, si chiamava pettegolezzo. Oggi, certo, si usano molti mezzi di comunicazione. Il telefono è ancora il preferito. Si messaggia. Si girano messaggi. Si dice. Ci si contraddice. La parola non vale più nulla. Ci si gode a pagare perfino per parlare. “Tanto ho i minuti”. Parlano, parlano, parlano quelli che dicono di credere che “la parola è Dio”, ma che la usano molto poco divinamente (lo si è già detto ma repetita iuvant, le cose ripetute giovano, forse). Ascoltiamoli i loro squisiti mormorii:

– Si sa come sono questi giovani predicatori, impulsivi, irascibili, e pure esagerati..!

– Dio mio, com’è nervoso questo Giovanni stamattina..!

– Suvvia, c’è modo e modo di dir le cose…

– Con gli uomini che contano bisogna andar cauti e saperle dire, le cose, con modo e maniera…

– Bisogna dire le cose con parole dolci dolci dolci, non brusche e perentorie…

– E poi Giovannino (proprio così, lo chiamano Giovann-ino, per sminuirne l’autorevolezza)… Giovannino deve rendersi conto! In fondo Antipa ha sposato Erodiade solo quando è tornato da Roma, cioè parecchio tempo dopo il suo viaggio a Roma…

– Vero! Ne è passato di tempo! Mesi e mesi… forse un anno? forse due? Sicché in fondo tra Erodiade e il suo primo marito non c’era più niente… e forse già da prima le cose non andavano fra loro… matrimonio sfortunato fu…

– E poi Filippo non è stato certo a guardare; subito subito si è consolato! hai voglia a concubine e nuove compagne… anche lui non è uno stinco di santo…

– Chissà che non ce l’abbia spinta proprio lui Erodiade fra le braccia di Antipa…

·         Intermezzo cervantino. Spiegava recentemente un amico che la maldicenza è oggi ritenuta una patologia psichiatrica. Dev’essere così, perché il vero maldicente è anche ottuso e pretenzioso – siamo sempre in ambito psichiatrico. Egli pretende infatti di continuare nella sua maldicenza (doppiezza, falsità, bugie, voltafrittate varie), mentre chi viene toccato dalla auretta assai gentile della sua calunnia, se reagisce e lo spubblica, viene da lui tacciato di… maldicenza.
Una volta Fefè chiese al suo amico Gegé di mettere per scritto e firmare le sottili calunnie venefiche che spargeva generosamente contro certi che abitavano nel vicolo e nei dintorni. E sapete che successe..?

Torniamo ad ascoltare i cristiani pettegolezzi raccolti qua e là:

– A me questo Giovanni mi mette l’ansia addosso, non lo posso stare a sentire…

Lecito o illecito, a me non interessa niente… questo matrimonio s’ha da fare e quando si farà, io e mio marito ci andiamo, chissà che banchetto! e chi s’è visto s’è visto…

– Io ho sentito che il vestito di Erodiade sarà di porpora, stupendissimo…

– Ma chi si crede di essere ’sto Giovanni! In fondo è poco più che un ragazzo…

– Non solo, ma Giovannino conosce solo certi passi della Bibbia, e non ha mai letto prima-corinzi-sette dove si capisce bene che…

– La cosa grave è che questo predicatore è un vero maldicente, ogni volta se ne viene con la storia di Erode e Erodiade, ma perché non si fa gli affari suoi, come dice il santo Vangelo, “studiate di fare i fatti vostri”…!

Queste voces, pericolosi pettegolezzi pazzi, sono i suoni ipocriti emessi dai Don Abbondio ignoranti e instabili presenti forse in quasi tutte le chiese, pardon in tutte le corti degli Erodi. Questo chiacchiericcio (chatting, è più esotico) sarà complice dell’assassinio di Giovanni. Sono le parole di quelli che lo lasciano solo. Antica macchinazione satanica è isolare chi dice il vero (ma ci può essere anche chi dice stoltezze e va “schivato”, come scrive Paolo a Tito). Quelle frasi vanno additate come blasfemie di ignoranti e instabili. Volgari commenti paranoici al criterio alto di Dio (Non ti è lecito..!) espresso dal predicatore, sprezzato per la sua giovinezza, sprezzato per la sua adesione senza compromesso al dato scritturale, sprezzato per aver proclamato la verità con dieci parole.

Dunque: Giovanni si è sbagliato? E in che cosa si sarebbe sbagliato? Non ha tenuto conto di qualche cosa? Ha omesso qualcosa? Ha trascurato qualche concetto? Non ha commentato il brano giusto? C’è qualcosa da aggiungere o da togliere alla sua predicazione? Non è stato buono?

Al Lettore “intelligente” (Proverbi) la risposta.

 

 

 

Che cosa fa Antipa

La storia descrive Erode Antipa come un governante astuto, superbo, corrotto, con qualche preoccupazione per il bene pubblico e con certe caratteristiche di sentimentalismo religioso. Ricorda qualcuno, ma in questo momento non ce ne sovviene il nome. Ci si rammenta però che Gesù, dotato di parola creativa, lo ha significativamente paragonato a una “volpe” (Lc 13,32). La presentazione che ne fa Marco sembra più dolce:

Erode aveva soggezione di Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e lo proteggeva; dopo averlo udito era molto perplesso e lo ascoltava volentieri (Mc 6,20).

Giovanni sarà pure giovane, ma incute; Antipa ne ha soggezione. Quanto alla protezione del tetrarca, non ricorda un po’ quella offerta dal padrino all’ecclesiastico? Ma il questo predicatore è fatto di ben altra stoffa. Antipa lo ascolta “volentieri”, come fanno tutti gli uomini di potere (cfr. Atti 26,28). Ascoltano. E basta. Sono perfetti uditori inetti (Giacomo). Ha ragione Gesù, Antipa è “volpe”.

Però c’è un lato di Erode Antipa che è estremamente interessante. La parola proclamata da Giovanni lo rende “molto perplesso”. Questa espressione invita a entrare nel suo cervello volpino mentre rimugina le parole della predica: E se avesse ragione lui? Se fosse davvero illecito il mio matrimonio con la moglie di mio fratello..? In fondo gli ho fatto proprio una porcata a Filippo, ho leso il suo diritto…

La notte Erode dorme poco e male. Pensa: Come mai Erodiade, che pure faceva la bella vita a Roma con mio fratello, mi ha seguito tanto facilmente? Solo per la mia bella faccia? Una sera Filippo m’aveva accennato a qualcosa che non andava fra loro…

Erode pensa, ripensa, si spreme le volpine meningi: E se Giovanni avesse ragione… in fondo in fondo, di Erodiade mi sono già un po’ stancato; donna ancor bella sì, ma noiosa come la goccia cinese; anche nell’intimità non fa che battere sempre sullo stesso tasto: fai fuori Giovanni! Se, invece, io seguissi il consiglio di Giovanni, allora dovrei rimandarla da mio fratello, e così… Ma guarda il caso! la predicazione di Giovanni si sposa bene con gli interessi miei... Come dice quel versetto che Giovanni ripete sempre..? Me lo devo far ridire quel versetto quando lo incontro, può tornarmi utile... O che c’è di male se una tantum la Legge serve anche ad personam regis, per l’interesse personale del re! C’è chi fa i salti mortali pur di far dire alle Scritture ciò che gli conviene in quel momento; e questo Giovanni predica proprio ciò che potrebbe convenire a me…

 

Commentiamo: ha ragione Gesù: Erode Antipa è “volpe”.

 

Attualizziamo: qualche cristiano ragiona come lui. Faine che pensano d’esser furbe, che entrano nell’ovile per distruggere e rubare, che sbranano versetti a seconda del loro comodo interesse personale privato.

 

Riflettiamo: grande Giovanni! predicatore coraggioso che rimprovera un porco, che è anche volpe – e poi dicono che l’evoluzionismo non esiste! Giovà, ma chi te lo fa fare! Non gettare le perle ai porci, che le calpestano. Non dare ciò che è santo ai cani, che ti sbranano, dai retta a Gesù. Predica, e sarai salvato tu e quelli che ti ascoltano, dai retta a Paolo apostolo. Le tue dieci parole sono distorte ad arte dalle “piccole volpi” (Salomone) che ti attorniano e sorridono mostrando i canini. Ti fraintendono apposta. Fingono di non capire. Fingono di non sentire. Fanno i tonti e i finti tonti. Hanno facce adatte. Criticano i tuoi modi di fare e di dire per non sentire la parola nobile “Non ti è lecito…!”. Criticano i tuoi modi e i tuoi sandali e il tuo vestito di pelo di cammello e invidiano anche il tuo “miele selvatico”, che invece dona potenza e freschezza e veracità alle tue parole, in dolce armonia con le parole del tuo Dio, sia benedetto in eterno!

 

Ringraziamo: Grazie, Giovanni, perché hai evangelizzato / bastonato Antipa con dieci parole, come merita il suo scandalo. Grazie perché sei un esempio raro di serietà per tutti gli stolti buonisti di ieri e di oggi. Grazie per la tua franchezza, che gli ignoranti instabili tentano di seppellire nella discarica del religiously correct, che è la sottile vergognosa ipocrisia religiosa di alcuni cristiani e di qualche chiesa. Grazie, perché nonostante tutto ti sei guadagnato persino la soggezione della “volpe”, ma molto più perché hai meritato onore, onore di Dio presso Dio, sia benedetto in eterno!

 

 

Che cosa fa Erodiade

Nulla. Non fa nulla. Non può fare nulla: “desidera ardentemente far morire Giovanni, ma non può, perché Erode ha soggezione di lui…” (Mc 6,19b).

Nel dramma che si svolge dinanzi a noi, l’azione dei personaggi è bloccata. Calma piatta. La gente – popolo, potenti e parenti – tace bloccata dall’omertà. Erode forse vorrebbe, ma non può. Erodiade vorrebbe, ma non può. L’azione drammatica è ferma. L’unico personaggio libero di agire è il predicatore che dichiara e ripete: “Non ti è lecito..!”

Il problema degli altri è: come fermare Giovanni; come distruggere Giovanni; come liberarsi di Giovanni; oppure come usare Giovanni.

Erodiade attende, non come Penelope ma come una mantide. Attende e tace: “…serbava rancore a Giovanni e desiderava ardentemente di farlo morire” (Mc 6,19a). Il rancore è sordo. E quindi muto:

·         Erodiade tace forse in ossequio al famoso “tacciansi le donne”? (v. contesto);

·         tace forse perché persuasa che alla donna “non è permesso usare autorità sull’uomo”? (v. contesto);

·         tace forse per rispetto di “le donne stiano sottomesse, come dice anche la Legge”? (v. contesto);

·         No, Erodiade tace per odio. Glielo si legge in faccia. Tace per malanimo. Tace per rancore...

Il rancore le stravolge i tratti del volto, non più solare e alto, ma cupo e basso, come quello di un Caino femmina (Gen 4,7a). Dolci massaggi e balsami d’oriente non riescono a cancellare la tensione dal suo viso, che è livido, scheletrico; borse scure sotto gli occhi infossati e fissi, a rimuginare; le labbra sottili, un filo scuro, serrate; la mascella contratta. Ultimamente Erode le ha chiesto: “Ma che hai, stai male?” Lei non ha risposto. Ma sta male dentro e fuori. E una donna in queste condizioni non è buona moglie. La sua è una lunga attesa snervante. Silenzio interminabile è il suo. L’odio femminile è un peccato perfetto. Il suo volto si distende solo quando, nelle stanze interne del palazzo, dove accedono solo le donne, può incontrare Salome, ridente e ambiziosetta. Erodiade la guarda: come è cresciuta! le è venuto il seno, le cosce sono ben tornite, è ben formata, il volto radioso. E come somiglia al padre! In fondo Filippo è un bell’uomo… ne ricorda gli abbracci e l’amore… e rivede la splendida vita di corte a Roma. Roma, che splendore! e che vita! non come questi buchi di città, Tiberiade e le altre, con la gente che puzza e predicatori che predicano, predicano sempre, e le mettono l’agitazione addosso. Erodiade cogita: Ma perché ho corrisposto all’amore di Antipa? ma perché ho lasciato il certo per l’incerto! e questa figlia bella che cresce, che ne sarà di lei? E quello predica, predica…

Rancore e amore materno albergano entrambi nel cuore di Erodiade,

e finché i due sentimenti restano separati e distinti l’azione drammatica non parte.

[C. Dickens insegna: lo stolto giudica in base a “fatti, fatti, fatti”.

Il sapiente ascolta, analizza, dialoga, medita, riflette, considera, valuta, riascolta,

in ogni cosa, anche nelle questioni concernenti mogli e mariti e figli e motivi e ragioni

e pro e contro e amori e tradimenti e adultèri e fornicazioni

– non è certo questa la via battuta dai superficiali che tutto banalizzano;

ma questo è un discorso su cui forse si tornerà altra volta].

 

 

“Il tempo e le circostanze” (Qohelet)

Tutto tace nella reggia. Erode sorseggia un tè. Erodiade brama e medita. Salome canticchia e accenna un passo di danza. Ma:

Ma venne un giorno “opportuno”...  (Mc 6,21).

Giorno opportuno per Erode: al suo compleanno potrà esaltare la propria ambizione, pavoneggiandosi dinanzi ai primi di Galilea.

 

Giorno opportuno per Erodiade: è il natale di Erode, si prepara la festa. E finalmente tra i due poli opposti del rancore e dell’amore materno scatta la scintilla creazionale che scatena il dramma. Erodiade ora sembra sorridere dentro di sé. Vede uno spiraglio alle sue brame: Ma come ho fatto a non pensarci prima? Disporrò che tra le danzatrici, una si distingua su tutte, mia figlia! Mi gioco la dote che…

·        Il rancore trova nell’amore materno lo strumento semplice e ideale per attuare ciò che desidera ardentemente: la morte dell’odiato predicatore;

·        Quali e quante cose non si fanno usando i propri figli per i propri scopi… Sventurato chi, avendo genitori, è moralmente orfano.

 

Giorno opportuno per Salome: mamma mi ha fatto una bella promessa; ho quindici anni e potrò danzare davanti al tetrarca e agli altri uomini adulti; entro in società! L’ambizione presuntuosa di Salome sta montando di ora in ora come la marea assassina di Mont Saint Michel:

·         si sente bella, sa di esserlo, ma non è guardata né ammirata come pensa di meritare: è del tutto priva di modestia;

·         non ha nessuna stima del padre, Filippo, che si è fatto togliere la moglie di sotto il naso; non lo conosce bene, ma deve essere un imbecille;

·         non ha né stima né attaccamento per il patrigno, Antipa; non le è permesso vederlo spesso, ma certe volte ha sentito gli occhi di lui su di sé…

·         per questo non riesce a provare né stima né rispetto per gli uomini in genere, la sua cifra è il disprezzo verso gli altri;

·         è consapevole del suo status, e da un po’ di tempo in qua ha cominciato a non salutare quelli più grandi di lei; talvolta anzi risponde loro in malo modo; nessuno può più rimproverarle nulla; invece di ascoltare, dà in escandescenze; l’ambizione la rende altezzosa mentre pensa al ballo: Avrò gli occhi di tutti appuntati su di me! Com’è bella la vita..!

 

 

Il ballo

Salome, “figlia della stessa Erodiade, essendo entrata, ballò e piacque” moltissimo a Erode e agli invitati (Mc 6,22a).

Guardando la scena di danza lo spettatore deve fare doppia attenzione. Gli spettacoli sono due. C’è infatti lo spettacolo offerto dalla danzatrice. Salome è stata ben preparata dalla madre. Sono alleate. Le sue lezioni di danza si sono svolte nelle stanze interne, ed ora è il momento della rivelazione artistica erotica della fanciulla.

L’altro polo d’attenzione è quello offerto dagli spettatori. E tra loro, anzitutto Antipa: i suoi occhi. Da tempo non vedeva la giovanetta, ma ora ne può ammirare le grazie!

Che cosa vedono i miei occhi! capelli, spalle, seni, fianchi, gambe tutto si muove con armonia attraente (sex appeal, è più esotico) che mai sazia l’occhio. Il corpo mi sembra quello che fu di Erodiade, ma oggi lei è flaccida, mentre sua figlia, che figlia! (= nel dialettale “figghia” la gutturale può esprimere il gusto goloso dell’eros scatenato). Il vecchio porco-volpe la vede con gli occhi come fosse la prima volta. Vede e gusta. Vede e confronta quel corpo con quello di sua moglie…

Gli occhi di Erode bevono la danzatrice e naufragano dolci nel mare dell’adulterio:

·         ma lui, adultero, può commettere adulterio? E che senso può mai avere per un adultero commettere adulterio..?

·         ma se poi passa un po’ di tempo, il suo adulterio è ancora adulterio o scade?

·         Che significa: “hanno occhi pieni di adulterio che non possono smettere di peccare… adescano gli instabili…” (2 Pt 2,14)?

La musica dolce e suadente si fa allegra e coinvolgente. La danza lenta e ammiccante si fa frenetica e sensuale… gambe e seni e braccia volteggiano, l’immagine penetra gli occhi, impatta il cervello, rimbalza nel basso ventre di Antipa, che per una epifanica frazione di secondo riesce finalmente a sbloccare ogni sua perplessità: Giovanni è proprio bravo, predica proprio la verità! Non mi è lecito tenere la moglie di mio fratello Filippo! Giustissimo! Ecco che farò: rimando la madre e tengo la figlia!

·         Guai (da Dio) a chi calunnia un predicatore di verità. E quasi sempre guai (dagli uomini) quando al predicatore di verità gli si fanno dei complimenti – il che non significa che non lo si possa/debba stimare e ringraziare come “lavoratore che ha diritto al suo salario” (1 Tm 5,18; N. Diodati);

·         Che ci volete fare? la volpe-porco ha anche lui le sue aspirazioni nella vita…

·         Mia moglie non è stata poi un gran ché, in fondo mi son preso lo scarto di mio fratello; da tempo Erodiade non mi dà alcun piacere… carne vecchia, alterata;

·         Carne, carne, carne! sarx, sarcoma, caro-carnis, carnale, carnalità, carnalmente ...ma la carne è debole. Debole? Gesù ha sbagliato. Debolissima è! Carne del ventre di Erode. Carne del cervello di Erodiade. Carne dei seni di Salome. Carne del collo di Giovanni.

·         Se questa pulzella me la coltivo, sarà una compagna perfetta…

Salome volteggia leggiadra, ma consapevole. Antipa sul triclinio muove a tempo di musica il suo vecchio deretano flatulento, accompagnando la fanciulla che ha già fatto sua (chi guarda una donna per desiderarla…). Inebriato di veli e trasparenze, è così eccitato che per una volta nella vita si lascia andare a un sincero moto di profonda generosità calcolata:

Ti giuro, Salome, che ti darò qualunque cosa mi chiederai, fosse pure la metà del mio regno (Mc 6,23).

Il suo non è affatto un giuramento sconsiderato, come si ritiene, anzi è ben pensato. È “la metà” del regno che si dà solo a una principessa… è un’offerta ricca che, dietro l’iperbole apparente, cela intenzioni mirate. Ma questa volta la volpe-porco ha fatto male i suoi conti. Non sa che il male ha raggiunto il suo kairós, la misura è colma perché:

l’orgoglio di Eva - la malvagità di Jezabel - la calunnia di Miriam

la falsità di Saffira - le cosce della gran meretrice apocalittica

sono dèmoni che hanno atteso troppo a lungo imprigionati nella psiche di Erodiade per non esplodere oggi, “giorno opportuno”:

tutte le cose false, tutte le cose vergognose, tutte le cose ingiuste, tutte le cose impure, tutte le cose odiose, tutte le cose di cattiva fama, quelle in cui c’è qualche malizia e qualche ipocrisia siano oggetto dei vostri pensieri, delle vostre telefonate, delle vostre chatting, del vostro facebook (dal Vangelo secondo Erodiade; si contrasti con Fil 4,8 ss.).

Questo è il versetto del Vangelo che condanna a morte il giovane predicatore Giovanni.

 

Doppio regalo

Il male è adesso una bomba ad alto potenziale deflagrante nelle parole di una richiesta infame. La bella danzatrice esce di scena. Ed ecco che il tempo dell’azione tragica accelera:

Salome rientra “frettolosamente” (Mc 6,25a);

Voglio che “sul momento” tu mi dia in un piatto la testa di… (Mc 6,25b).

Una guardia va, decapita Giovanni e dà la testa a Salome.

Salome va e dà la testa di Giovanni a Erodiade. Doppio regalo. Erodiade fa bingo.

Invece, la volpe-porco vede sfumare di colpo tutte le sue aspettative, i suoi progetti, i suoi sogni erotici. Lo stolto persevera nella sua stoltezza:

·         è molto triste, la volpe, per un problema causato dalle sue stesse parole (Mc 6,26a);

·         non riesce, cioè “non vuole” dir di no alla richiesta infame (6,26b). è questione d’onore, e onore vuol dire non sottrarsi mai alla parola data, quali che siano le terribili conseguenze che da ciò possano scaturire; cioè onore = orgoglio;

·         Io sono Erode Antipa, non devo ringraziare nessuno. Non devo chiedere scusa a nessuno. Mai. Ne va del mio onore.

·         Ma Erode è una volpe gabbata. Non ci arriva ad arraffare l’uva. Perciò dice che è acerba. Oltre che volpe-porco, Erode Antipa è anche uno stolto perfetto.

 

                                                                                                          

Come è andata a finire la storia – Come potrebbe finire – La Vera Storia

Antipa e Erodiade – Accusato da Agrippa, fratello (coltello!) di Erodiade, di essersi alleato coi Parti fornendo loro armi, Antipa verrà mandato in esilio nelle Gallie, a Lugdunum (Lione), accompagnato da Erodiade. Qui finirono i loro giorni.

·         Che peccato! Potrebbe finire diversamente: Antipa potrebbe ricordare le parole di una madre al re suo figlio:

… apri la tua bocca, giudica con giustizia,

fa’ ragione al misero e al bisognoso (Prov 31,9).

I re hanno orrore di fare il male,

perché il trono è reso stabile con la giustizia (Prov 16,12)

Antipa potrebbe seguire il primo impulso della sua fede-per-paura e tradurlo poi in fede-per-amore (1 Gv 4,18).

Erodiade potrebbe cercare di riconciliarsi con Filippo il quale, per amore di lei e del politically correct forse la riprenderebbe (avere la moglie accanto favorisce la carriera politica; se Hillary si è ripreso Bill…). Erodiade, una volta a Roma, potrebbe far tesoro delle prediche palestinesi e fare quello che Giovanni suggeriva: cambiare mentalità, ravvedersi (= metánoia), darsi alle opere buone (1 Tim 5,10; Ef 2,10).

E se Filippo la respingesse? Erodiade potrebbe/dovrebbe rimanere senza maritarsi (come dice Paolo ai Corinzi, o no?!) e dedicare gli anni della sua vita a tirare su bene la figlia, a darle una educazione al bene (Prov 1,8b), e vivere lei stessa per il bene.

Salome – Di lei si sa poco, come di chi pensava di contare e invece... Ma con l’ambizione presuntuosa che si ritrova non le sarà difficile trovare in questa società postribolare un Erode che le farà abbassare le penne. Perseguendo ambizione, presunzione e supponenza, si incamminerà sulla via della morte.

·         Che peccato! Potrebbe finire diversamente: in fondo è così giovane e forse potrebbe fare in tempo a imparare cose buone, a vergognarsi e convertirsi prima che sia tardi:

Una donna bella, ma senza giudizio,

è un anello d’oro nel grifo di un porco (Prov 11,22).

Parimente, voi più giovani, siate soggetti agli anziani. E tutti rivestitevi di umiltà gli uni verso gli altri (1 Pt 5,5).

...la bellezza è cosa vana,

ma la donna che rispetta l’Eterno, è quella che sarà lodata (Prov 31,30).

Giovanni – E Giovanni, che ne è di lui?

Ringraziamento: grazie Signore per la morte rapida concessa a Giovanni.

“I discepoli andarono a prendere il suo corpo e lo deposero in un sepolcro” (6,29).

A proposito, è bene non lasciare in ansia il superstiziosissimo Erode e informarlo che il corpo di Giovanni è proprio sepolto. Giovanni sta bene e attende la risurrezione. Stai tranquillo, Erode, non è Giovanni quello che predica. È Uno molto peggio di lui.

Il corpo è seppellito. Ma dov’è la testa del predicatore? Non se ne ha notizia certa. Si registrano però varie interessanti tradizioni reliquiarie per le quali ci sarebbero parecchie teste di Giovanni sparse per il mondo e ben conservate. La cosa dev’esser vera, ci sono infatti tutt’oggi molti predicatori che continuano con coraggio, fiducia e speranza a proclamare le dieci parole: Non ti è lecito sposare la moglie di un altro!

Vecchie volpi porcine, flaccide Erodiadi malevole, volgari Salome ancheggianti cercano ancora oggi di sbarazzarsi delle belle teste dei predicatori giovannei. Non ci riusciranno. La testa di Giovanni non cadrà. Starà saldamente al suo posto. E la sua parola continuerà a incutere. Perché Giovanni sta lavorando bene, con serietà e forza e umiltà, perché è Dio colui che lo sostiene. E chi vuol rompere i camilleriani gabbasisi lo vada a fare sulla swiftiana isola di Laputa:

Quello che predica è Giovanni, è lui risuscitato!

La tragedia è finita. Il narratore Marco ha un’esitazione. Guarda il pubblico che pende dalle sue labbra come il bambino che vuole ancora altra storia. Poi conclude:

C’è una storia piccola piccola scritta dagli uomini coi loro atti piccoli piccoli e misfatti frutto di piccolezza. Questa storia vi ho narrato. Ma c’è una storia grande grande, scritta da Colui che solo è Buono e che pesa i cuori. In questa storia grande grande non è Giovanni il decollato, ma è lui che ha decapitato i suoi nemici con la spada della parola, eterna, benedetta in eterno. Amen. Di questa storia grande grande io conosco poche cose, ma solo Lui la sa tutta e la scrive.

Chi presta attenzione alla parola se ne troverà bene,

e beato colui che confida nell’Eterno! (Prov 16,20).


 

Saluto e invio

Durante le Feriae Augusti questo lavoro è stato svolto con fatica serena, cercando di attenersi ai due opposti biblici che esigono da un lato di Non rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza e dall’altro di Rispondere allo stolto secondo la sua stoltezza, evitando di proposito di creare una armonizzazione forzata e quindi falsa.

Navigando nel tratto di mare burrascoso compreso tra Scilla e Cariddi, forse si è presa qualche onda sulla fiancata invece che tagliarla di prua, forse si sarà toccata qualche boa e si sarà perfino squarciata qualche rete di pescatori di frodo. Ma si è evitato di urtare lo scoglio mortale di parlare male, di fare mal/dicenza. Qui infatti si è scritto del male. Si è enunciata e denunciata la maldicenza di coloro che, privi di dignità, “non hanno orrore di dire male delle dignità” (2 Pt 2,11). Al dubbio che queste noterelle riescano a indurre riflessione e ravvedimento negli stolti, si risponde senza dubbio che:

Un rimprovero fa più impressione all’uomo intelligente,
che cento percosse allo stolto.

Anche se tu pestassi lo stolto in un mortaio in mezzo al grano col pestello,
la sua follia non lo lascerebbe (Prov 17,10; 27,22).

Questi detti, pur saggi, sono propri della durezza e severità della vecchia legge e non della clemenza e della bontà della dolcissima legge del Vangelo (Nicodemo Agiorita). Si spera dunque che quel che è zoppo guarisca e che la grazia del ravvedimento non manchi ad alcuno (Eb 12,13 ss.).

Da ultimo, come mai Giovanni non ha/avrebbe evangelizzato Erodiade? Il problema, come altri su menzionati, rispecchia quaestiones sorte negli ambienti teologici di Littoria (Latina), nome che echeggia una latinità ormai decaduta, richiamato da Octavianus Augustus al quale queste note sono collegate.

Nel rispondere alla domanda, si può tentare l’approccio sociologico, e considerare l’impossibilità di Giovanni di accedere alle camere più interne del palazzo dove Erodiade risiedeva.

Adottando invece la teoria dei sistemi, si osserva che in fondo Erodiade fu evangelizzata eccome, tanto da manifestare una forte controreazione, un odio rancoroso alla predicazione, tuttora non sopito.

Dal punto di vista testimoniale, si conferma poi che Erodiade fu sicuramente evangelizzata da Giovanni, tanto che inizialmente affermò d’aver lasciato suo marito Filippo per incompatibilità di carattere (prima versione, disinteressata) e solo più tardi, dopo aver ascoltato l’Evangelo, parlò di adulterio maritale (seconda versione, comoda). Come Erode, anche lei era a caccia del versetto risolutivo per il suo caso. Per trovarlo ebbe l’idea, non originale, di scrivere un suo Vangelo (v. sopra). Va ritenuta testimone inattendibile, inaffidabile.

La verità è che l’evangelizzazione di Erodiade o di Salome o dello stesso Antipa è una vera impossibilità morale. Non gettate le vostre perle dinanzi ai porci… “Non rivolger la parola allo stolto, perché sprezzerà il senno dei tuoi discorsi” (Prov 23,9). Chi infatti usa la parola per intrighi e calunnie contro il popolo della parola e contro coloro che – con scienza e coscienza –  predicano la parola, si iscrive nella lista dei peccatori senza ravvedimento – battezzabili ed enumerabili certo, ma senza metànoia. Quel che fate ai miei discepoli lo fate “a me”, dice Gesù. Contro questo genere di peccatori senza ravvedimento Gesù si esprime senza mezzi termini: “Guai a te Corazin e guai a te Betsaida, perché non vi siete ravvedute!” (Lc 10,13). E Paolo apostolo non è da meno. Dinanzi ad alcuni che si induriscono e dicono male della chiesa (= Cristo = “nuova Via”), Paolo “si ritira” da loro e addirittura “separa” i discepoli da loro (Atti 19,9). Anche questo è esempio apostolico.

Dal punto di vista linguistico, si dice che Giovanni “non evangelizzò” Erodiade nello stesso senso in cui si dice che “non si vende” ghiaccio agli eschimesi o sabbia agli africani.

Perché Giovanni non ha/avrebbe evangelizzato Erodiade? La verità, per dirla con eleganza, è che la domanda è mal posta (eufemismo, per non dire altro).

Infine, per compiutezza: cui prodest? A chi interessa porre tale domanda? Si tenta forse di mettere Giovanni in cattiva luce? forse per tagliargli la testa? A chi interessa far fuori Giovanni con veemenza malevola, mostrando i segni inequivoci del male, senza curarsi che fra il pubblico ci sono famiglie, ragazzi che crescono, persone che amano la parola e si stanno avvicinando alla parola? Interessa a Erode? a Erodiade? a Salome? o forse interessa a un sergente del palazzo che vuol mettersi in mostra per ottenere un avanzamento di grado?

Odio, rancore, ignoranza, doppiezza e un tocco d’invidia spiegano atteggiamenti e comportamenti, e non necessitano di giustificazioni per la loro azione mortale. Se si comprende chi è Erodiade/Erode/Salome, la teologica qestione (accusa) si dimostra priva di senso, infondata. Per questo ha senso chiedersi: cui prodest? A chi interessa? A chi giova?

In assenza di un cui prodest, non esiste alcun problema “dottrinale” che non si possa risolvere con preghiera, studio, cura, rispetto, attenzione al testo biblico originale. Ma occorre imparare a non voltare la faccia dall’altra parte. Occorre imparare che gravi questioni etiche come quelle qui accennate sono “dottrinali”. L’ignoranza presuntuosa in ambito biblico non deve passare. Bisogna resistere, resistere, resistere all’ignoranza presuntuosa, manifestazione di reputazione immeritata.

Mirare al cui prodest è l’esatto contrario di un criterio fondamentale praticato e insegnato da Gesù, dagli apostoli e da molti (non tutti) primi cristiani:

Cosa più felice è dare che ricevere (Atti 20,35);

Infatti non ho nessuno d’animo uguale al suo [di Timoteo] e che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre, perché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Cristo Gesù… ma egli [Timoteo] ha servito l’Evangelo con me… (Fil 2,20 s.; Bibbia TOB-NT).

L’esempio di Gesù e Timoteo è buono. Può/deve essere attuato da discepoli e discepole. Ma quel “tutti cercano i propri interessi” fa pensare. E dovrebbe preoccupare. Perché si tratta di una precisa accusa realistica mossa da Paolo, ispirato da Dio. Ciò nonostante, c’è ancora qualcuno d’animo generoso che “si occupa di cuore delle cose vostre”, agendo per il bene altrui, per servire davvero l’Evangelo, comportandosi con sapienza e discrezione e educazione e rispetto nella chiesa e per la chiesa di Dio che è in Cristo Gesù. Dio aiuti il suo popolo a cercare e trovare onore umile in Dio (Rm 2,7b).


 

 

 

Piccola bibliografia

Saggi:

A. Alberti, Matrimonio e divorzio nella Bibbia, Milano, 1962.

A. Ammassari, Un profilo biblico del matrimonio, Roma, 1977.

C.M. Martini, Sul corpo, Milano, 2000.

I. Minestroni - L. De Benetti - F. Salvoni - T. Scott, Il divorzio nella Bibbia e nella realtà odierna, Genova, 1968.

F. Salvoni, Il divorzio nel pensiero biblico. La Bibbia ammette il divorzio? Genova, s.d. (dopo il 1966). Suoi i buoni commenti qui utilizzati su Mc 10.

C. G. Scorer, The Bible and Sex Ethics Today, London, 1966 (trad. it. La Bibbia e il sesso oggi, Roma, 1971).

W. Trobisch, Ho amato una ragazza, Brescia, 1977.

 

Studi biblici:

A. Bonora - R. Cavedo - F. Maistrello (edd.), Grande commentario biblico, Brescia, 1974.

J. Huby, Evangile selon Saint Marc, Paris, 1948 (trad. it. Vangelo secondo San Marco, Roma, 1958).

C.M. Martini - G. Danieli - M. Laconi - G. Tosatto - B. Prete (edd.), Il messaggio della salvezza. Nuovo Testamento. Vangeli (5 voll.), Torino, 1968.

J. Neyrey, Honor and Shame in the Gospel of Matthew, Louisville (KY), 1998.

G. Ravasi, Nel cuore dell’uomo. Leggendo il libro dei Proverbi, Cinisello Balsamo, 1988.

F. Salvoni, Gesù Cristo ii, Milano, 1970/1971, 125 ss.

J. Schmid, L''evangelo secondo Marco, Brescia, 1961.

F.M. Uricchio - G.M. Stanco, Vangelo secondo san Marco, Torino-Roma, 1966.

L.A. Schökel - J. Vílchez, con la collaborazione di A. Pinto, Sapiencialies. Proverbios (Nueva Biblia Española), Madrid, 1984.

R. De Vaux, Le istituzioni dell’Antico Testamento, Torino, 1991.

G. Kittel - F. Gerhard, Grande Lessico del Nuovo Testamento (16 voll.), Brescia, 1992.

 

Altre opere:

A. Rolla - F. Ardusso - G. Ghiberti - G. Marocco, Enciclopedia della Bibbia (6 voll.), Torino, 1969.

A. Mercati - A. Pelzer, Dizionario ecclesiastico (3 voll.), Torino, 1953.

G. Melchiori, Shakespeare. Genesi e struttura delle opere, Bari,1994.

J. Kott, Szkice o Szekspirze, Warszawa, 1961 (trad. it Shakespeare nostro contemporaneo, Milano, 2002, varie edizioni precedenti).

W. Stegemann - B.J. Malina – G. Thiessen, Jesus in neuen Kontexten, Stuttgart, 2002 (trad. it. Il nuovo Gesù storico, Brescia, 2006).

A, Lepschy - A. Ruberti, Lezioni di controlli automatici: teoria dei sistemi lineari e stazionari, Roma, 1967.

R. Simone, Fondamenti di linguistica, Bari, 1990.

 

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