Riprensione
Uno scomodo strumento d’amore: la riprensione
Figlio mio, non disprezzare la correzione di Dio e non disdegnare il suo rimprovero perché Dio rimprovera colui che egli ama come un padre il figlio di cui si compiace (Proverbi 3,11-12).
Chi rifiuta la correzione disprezza la sua stessa anima, ma chi dà ascolto alla riprensione acquista senno (Proverbi 15,31).
Quando parliamo di ammonizione, o riprensione o correzione, ci riferiamo in generale all’educazione e, immediatamente, alla relazione fra genitori e figli o a modelli relazionali similari, per i quali c’è colui al quale è riconosciuta istituzionalmente la funzione di guida e c’è l’altro che ha il diritto/dovere di apprendere. Forse oggi l’ammonizione viene compresa nell’applicazione sportiva (il cartellino giallo esibito dall’arbitro), più che essere compresa come azione di avvertimento, di correzione comportamentale, apparendo così un termine desueto, sganciato cioè dall’ambito originario dell’educazione preventiva.
Queste relazioni sono di tipo “asimmetrico”, caratterizzate cioè da un evidente sbilanciamento di “potere” inteso come conoscenza tecnica posseduta dal primo termine delle seguenti coppie: medico-paziente; insegnante-studente; genitore-figlio/a; ufficiale-soldato; allenatore-atleta, avvocato-assistito; Dio-credente. Queste coppie sono contraddistinte da un’importante analogia: l’autorità convenzionalmente riconosciuta al primo termine delle coppie e la “subalternità” del secondo termine delle coppie, il quale dovrebbe beneficiare dall’azione del primo. In effetti le categoria di ogni coppia appaiono enormemente squilibrate sul piano della competenza/conoscenza, dell’esperienza e, in parte, dell’età. Un’altra proprietà su cui si fondano questi rapporti, per renderli funzionali allo scopo, è il RISPETTO genuino dei ruoli. Sarebbe quindi paradossale un capovolgimento dei ruoli prestabiliti; figuriamoci di vedere alunni insegnare al maestro o il paziente dettare la prescrizione farmacologica al medico, oppure atleti che si preparano alla gara senza considerare allenatore o ancora, il bambino che fa l’adulto col genitore, il soldato semplice che formula strategie militari in luogo dell’ufficiale o che comanda in sua vece; oppure l’assistito che fa da sé l’arringa, squalificando il proprio avvocato, o infine – cosa abbastanza comune purtroppo – invertire il ruolo della creatura con quello del Creatore (Rom 1,25).
Da una parte abbiamo chi ha la RESPONSABILITÀ professionale di curare, insegnare, educare, comandare, allenare, assistere, SALVARE l’anima. Una questione legata perciò al grado di coscienza morale, di passione e onestà con cui si esercitano queste importantissime funzioni. Immaginiamo allora quali gravi conseguenze ci sarebbero in questi casi. Il paziente seguito senza responsabilità, o mal curato, rischia la propria salute perché “il medico pietoso aggrava il malato”, come dice il proverbio. L’insegnante irresponsabile incide dannosamente in via permanente sul livello d’istruzione, sulla formazione della coscienza degli studenti: classica è, infatti, la riabilitazione a posteriori (decenni dopo) del docente considerato “esigente”, il che va di pari passo con la declassazione dei colleghi “lassisti”. Le cronache quotidiane dicono, purtroppo, le tante conseguenze negative pagate da figli di genitori scellerati, che marchiano profondamente lo sviluppo mentale e caratteriale dei figli. L’ufficiale scriteriato pone a repentaglio non solo l’esito della battaglia o della guerra, ma di molte vite di militari e civili. L’allenatore poco responsabile, che non fa lavorare con serietà i suoi atleti, crea una condizione psicofisica superficiale, pregiudicando così la qualità della prestazione agonistica degli atleti, riducendo la probabilità di ben figurare. L’avvocato incosciente lede inesorabilmente gli interessi dell’assistito, causandogli grossi guai.
Una misura indiretta del grado di responsabilità con cui il professionista ha svolto il suo DOVERE fino in fondo (sperando che coincida con la “passione”) è possibile inferirla attraverso l’uso della RIPRENSIONE. Riprendere, rimproverare, correggere non è così facile anche per coloro che sono convenzionalmente deputati a farlo. Se non si riprende, si ha il “vantaggio” di evitare lo scontro frontale con chi dovrebbe osservare la riprensione; se non si riprende, non ci si “sporca le mani”; non ci “sforza” più di tanto; se non si riprende, non si compromette l’approvazione sociale, si passa per “pacifici”, ecc…
D’altro canto, a nessuno fa piacere essere ripreso, criticato, richiamato, corretto, che si sia figlio, o paziente, o soldato, o atleta, o studente o assistito. Allora la capacità di usare lo strumento pedagogico della riprensione esprime un “interesse disinteressato” verso cui è rivolto il proprio sforzo, l’amore verso la propria professione. Il genitore che ami il proprio figlio con maturità, non potrà mai esimersi dall’intervento disciplinare, dal severo rimprovero qualora fosse necessario, affinché il figlio stesso possa meglio assimilare la scala di valori morali, di principi di vita, per saper distinguere fra ciò che è sano e che è cattivo, per discernere diligentemente il “limite” da non superare, per formare in sé una salda struttura morale e psicologica.
Il contrario sarebbe allora dare la possibilità, anzi l’illusione, del dissolvimento del limite, oltre cui tutto è possibile, senza considerare le enormi questioni relative a conseguenze fisiche, psicologiche, morali, sociali, spirituali.
Proviamo a fare qualche esempio relativo alle coppie viste sopra. Il paziente che non si attenga alla prescrizione medica e assuma alcool e/o fumo, facendo finta di star bene; lo studente che eviti lo studio pomeridiano e si assenti spesso dalla scuola; il figlio che a casa finga di adeguarsi alla volontà dei genitori e fuori si omologhi al gruppo dei bulli; l’atleta che s’alleni senza intensità, di malavoglia; l’assistito che non tenga conto delle raccomandazione del suo avvocato; il credente che dica “sì” e che poi non osservi la parola del Signore...
Consideriamo le gravi conseguenze originate dall’inosservanza dei limiti che, una volta superati, conducono verso condizioni inesorabili, verso il punto del non ritorno. A fronte di tali rischi, la sciagura è allora l’omissione del severo richiamo, del grave rimprovero di chi ha la responsabilità di intervenire, per cui chi ama non può esimersi dall’obbligo di disciplinare preventivamente e duramente colui che ama.
Riguardo a Dio, invece, non è possibile accusarlo di irresponsabilità in qualche sua manifestazione, al contrario è stato molto zelante nella preservazione preventiva della vita delle sue creature. Infatti il suo piano di salvezza è frutto di amore (Gv 3,16) che spinge alla conversione (Rom 2,4; Atti 17,30). Una volta creato l’uomo, e nonostante il fallimento iniziale di questi, l’amore di Dio continua a perseguire una relazione pedagogica mediante il dialogo, cioè con la parola (Gen 2,16; 3,8 ss.; Is 1,18 ss.) ed anche lo strumento scomodo della riprensione (vedi le citazioni sopra).
Chi viene rimproverato da un altro subisce certo una ferita narcisistica necessaria, una mortificazione, da cui si difende spesso contrattaccando, soprattutto chi è ripreso non è umile o non afferra la genuinità dell’ammonizione, se non ama la verità, cioè non è mentalmente onesta.
Nella comunità del Nuovo Testamento (di cui Cristo è il capo), ogni fratello, come pure il predicatore e gli anziani hanno, fra gli altri servizi, anche il compito di riprendere amorevolmente chi sbaglia (Mt 18,15 ss.; 1 Tim 3,4 s.; 5,20; Tito 2,15).
Il senso di quanto scritto, in termini generali, potremmo trasferirlo nell’ambito della relazione fra il credente e Dio mediante Cristo Gesù. In ambito cristiano troviamo di volta in volta il fedele presentato come soldato, al quale Dio fornisce il giusto equipaggiamento per affrontare la guerra spirituale (Ef 6,10 ss.; Rom 13,12); o come malato spirituale che cerca il medico competente, capace di guarirlo (Mt 9,12); o come figlio spirituale (Lc 11,1.13); o come allievo (Mt 10,24-33); o come atleta (1 Cr 9,24; 2 Tim 2,5).
Nello specifico rapporto spirituale col Signore “la riprensione è l’atto col quale si cerca di convincere altri del loro errore per indurli a riconoscerlo e a correggerlo. Il rimprovero può invece essere una semplice censura che non mette a nudo l’errore fornendo delle prove. Il verbo ebraico yakhàch (riprendere) è un termine legale tradotto pure chiedere conto (Is 37,4), mettere le cose a posto (Is 1,18; 2,4). Il corrispondente termine greco è elègcho. Entrambi esprimono l’idea di convincere qualcuno che ha peccato ed esortarlo al pentimento. A proposito dell’uso di elègcho nella Settanta greca in molti casi in cui l’ebraico ha yakhàch “sta a indicare (...) la disciplina e la educazione dell’uomo ad opera di Dio nella pienezza della sua opera di giudice. Il concetto di disciplina implica qui tutte le gradazioni e i provvedimenti inerenti all’educazione, dalla convinzione del peccatore fino alla sua punizione, dalla educazione dell’uomo pio con misure disciplinari fino alla sua correzione nel senso dell’ammaestramento e del monito” (G. Kittel, Grande Lessico del Nuovo Testamento III,Brescia, 1967).
Dalle pagine bibliche appare chiaro che la riprensione si configura come funzione educativa e preventiva; essa si attua con una azione disciplinare esercitata su fratelli/sorelle che mostrino condotte moralmente dannose per se stessi, per la chiesa, e per la credibilità della fede. È questo il problema della cattiva testimonianza, la quale può causare ingenti danni sostanziali e d’immagine al lavoro della buona predicazione, alla diffusione della verità evangelica. La cattiva testimonianza infatti genera confusione, superficialità nell’effettiva comprensione di un insegnamento come quello di Cristo.
Cristo viene infatti attaccato da concezioni “modernistiche”, ad esempio per ciò che concerne alcune pratiche legate ai costumi sessuali (rapporti fra persone con orientamento gay; convivenze varie; relazioni con partner sposati, ecc..). In questi ultimi decenni nell’immaginario sociale il cristianesimo è ormai considerato anacronistico, bigotto, superato, senza amore, senza comprensione e discriminatorio! Si dimentica che il Signore è il Creatore, ovvero il Conoscitore e Fondatore di fragili equilibri che reggono l’universo e la sfera degli accadimenti umani.
L’intervento di riprensione ha una finalità esplicitamente correttiva e può essere esercitato da chi predica (1 Tim 5,20; 2 Tim, 3,16; Tito 2,15; ), dagli anziani (1 Tim 4-5 ) o dal fratello/sorella (Mt 18,15).
Il libro dei Proverbi è fonte inesauribile di insegnamento anche riguardo l’atteggiamento di chi non ama essere corretto, e stoltamente non considera il valore della riprensione. Eccone alcune citazioni: «chi odia la riprensione è uno stupido» (12,1; 29,1ss). Il modo con cui un uomo accoglie la riprensione è un test del suo stato: il beffardo non ama che altri lo riprenda (15,12), mentre il saggio ama la riprensione (9,8).
Ma se vi sono esortazioni ad accettare la riprensione, vi sono anche incoraggiamenti a farla (24,24 s.). Bisogna, ovviamente, che siano parole di riprensione dette a proposito e con saggezza (25,12). Il valore della riprensione è grande se mossa da vero amore: «Chi ama ferisce, ma rimane fedele» (27,6). L’amore cerca sempre di ricondurre quelli che si sviano e la riprensione ne è un suo specifico strumento, per quanto scomodo!
Un’ultima precisazione: come si riprende, in privato, in pubblico? Oggi nelle relazioni sociali (spesso dominate da ipocrita apparenza) si preferisce che le critiche o i rimproveri vengano impartiti strettamente in privato. Il Nuovo Testamento conosce sia la riprensione personale privata (es. Mt 18,15) sia quella pubblica, quando è la chiesa intera a doverla esercitare ( cfr. il contesto di Mt 18,15 ss; 1 Cor 5,1 ss.). In circostanze particolarmente gravi, affinché la riprensione abbia efficacia anche per gli altri, essa va attuata apertamente e coraggiosamente. Così fa ad esempio Paolo apostolo rimproverando duramente l’apostolo Pietro del suo comportamento doppio: “Ma quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistei in faccia, perché era da riprendere (...). E anche gli altri giudei fingevano con lui, tanto che Barnaba fu trascinato dalla loro ipocrisia” (Gal 2,11 ss.).
I credenti spiritualmente maturi comprendono il detto biblico per cui «l’uomo che corregge sarà, alla fine, più accetto di chi lusinga con la sua lingua» (Prov 28,23). Satana, invece, con i suoi modi subdoli e accattivanti è capace di trasformarsi in «angelo di luce» (luci-fero, 2 Cor 11,14).
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M. Santopietro – 05/2016
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