Riflessioni

Evangelo e Storia. Note a margine di una pubblicazione mormone.

Evangelo e Storia Nella presentazione del Cristo fatta dalla Chiesa mormone c’è più di un aspetto che lascia meravigliati quanti cercano di seguire umilmente la parola sapiente del Cristo espressa nel Nuovo Testamento Un articolo apparso recentemente sul quotidiano Libertà Sicilia informa che Ernesto Nudo è “un sommo sacerdote” della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, il quale ha “giurisdizione per la Sicilia e la Calabria”. È Autore di Gesù Cristo Salvatore e Redentore, un libro che “racconta la missione sulla terra del Cristo”. Il testo è stato presentato a Siracusa alla presenza di “autorevoli relatori universitari”. Tra gli ospiti il “presidente del ramo” (il ramo è una struttura simile alla parrocchia) di Sciacca che ha parlato dell’umanità di Gesù. È intervenuta pure la “presidentessa della società di Soccorso del Palo di Palermo” (il palo è simile alla diocesi cattolica), che ha parlato del sacrificio di Gesù. Una sezione dell’articolo così recita: “Considerato che Ernesto Nudo è un sommo sacerdote della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, nella seconda parte del libro, [egli] spiega che all’interno della restaurazione del Vangelo fatta dal Signore attraverso il profeta Giuseppe Smith, si trova anche la costruzione del Tempio del nuovo patto di cui parla l’apostolo Paolo nella lettera agli Ebrei. Pertanto oggi tutti i membri della chiesa possono godere delle sue benedizioni” (Libertà Sicilia, 17/05/2017, p. 12). Come valutare queste notizie alla luce del Nuovo Testamento? È certo una cosa buona scrivere e parlare di Cristo come colui che salva l’umanità (“salvatore”), liberandola dal peccato (“redentore”). Di queste realtà, anzi, è urgente parlare al prossimo in una società che attua ormai l’ateismo pratico. Ma nella presentazione del Cristo fatta dalla Chiesa mormone c’è più di un aspetto che lascia meravigliati quanti cercano di seguire umilmente la parola sapiente del Cristo espressa nel Nuovo Testamento. Gesù fu davvero il servo di Dio e dei suoi discepoli, ma li rimproverò per i loro litigi su chi di loro fosse “il maggiore”. Egli fu umile servo dell’Eterno e di tutti, adempiendo così in modo meraviglioso e umanissimo l’antica profezia isaiana (Is 53,1 ss.). Proprio per questo, dunque, ben difficilmente Gesù può aver desiderato o chiesto che si costituissero strutture elitarie per il suo popolo o che fra i suoi discepoli ci fossero i “sommi”, i “presidenti” e le “presidentesse”. Gesù insegna infatti: Tutte le loro opere [i potenti religiosi] le fanno per essere ammirati dagli uomini (...) amano posti d’onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare “maestro” dalla gente. Ma voi non fatevi chiamare “maestro”, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno “padre” sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare “maestri”, perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato (Mt 23,5 ss.). Nella chiesa primitiva c’erano “fratelli”, ma non discepoli “sommi”. C’era il servizio (diakonìa), che aveva poco o nulla a che fare con i titoli; era per il bene spirituale comune (1 Cor 12,7). La parola “gerarchia” fu introdotta cinquecento anni dopo Cristo da un teologo sconosciuto, Dionigi (lo Pseudo-Dionigi). Ecco, dalla penna di Paolo apostolo, l’immagine più espressiva e veritiera del Cristo storico e glorificato: Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma svuotò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Filippesi 2,5 ss.). Parole ispirate da Dio che possono e debbono far pensare tutti, anche chi si presenta come “sommo”. Il Nuovo Testamento usa la parola “sacerdote” (= uno che compie un sacrificio) solo per indicare i sacerdoti di altre religioni e mai per coloro che servono nelle comunità cristiane. Le prime comunità di cristiani erano guidate dai credenti “più anziani” nella fede (presbuteroi). I discepoli di Gesù costituiscono un popolo di “tutti fratelli”, come insegna il Maestro. Non c’è alcun elemento storico che attesti l’esistenza di “giurisdizioni” della chiesa nei primi secoli. Mai Cristo o gli apostoli si sono interessati o hanno promosso la “giurisdizione” di Gerusalemme, di Roma o di Antiochia. Il libro degli Atti degli Apostoli, ispirato da Dio, non accenna neppure a una cosa del genere. La ragione è semplice: non vi era alcuna superiorità morale spirituale, né tantomeno “giuridica”, di una comunità su un’altra. Discepoli e comunità erano fra loro uniti da una comunione puramente spirituale col Cristo, unico Sommo Sacerdote del popolo di Dio. Tuttavia, per lo storico che studia il periodo costantiniano (IV sec.) è ben chiaro chi avesse davvero il primato giuridico anche nella chiesa, Costantino imperatore (v. foto). Dopo il IV secolo si registrano numerosi tentativi attuati da alcuni vescovi – sia in occidente sia in oriente – per affermare una loro “giurisdizione” sulla chiesa dell’intera ecumene, come se questa fosse stata la volontà di Dio. Eppure il più importante teologo occidentale, Agostino, non scrive nulla riguardo a un primato dei vescovi di questa o quella città. Il Vangelo parla di relazioni di servizio amorevole verso Dio, tra credenti, tra comunità, ma non parla mai di “giurisdizione”. La ricerca storica dimostra che, purtroppo, nel corso della storia c’è sempre stata la ricerca del potere, anche in religione. Però il Cristo del Nuovo Testamento non dice così. È oggi dunque ben strano vedere credenti che si presentano come “sommi sacerdoti” di una chiesa che dice di rifarsi al Cristo. Una chiesa che si è data un centro di controllo globale e ha diviso il mondo in “giurisdizioni”. Ma non è il Messia colui che afferma “il mio regno non è di questo mondo”? Non è proprio lui che si ritira sul monte a pregare da solo quando la folla viene a rapirlo per acclamarlo re? E non è ancora lui quello che considera l’offerta della gloria dei regni del mondo come tentazione diabolica da rigettare? (Gv 18,36; 5,15; Mt 4,8 s.). Quanto sarebbe buono e vitale tornare alla meravigliosa parola di Dio espressa nell’Evangelo, per riscoprire la bellezza dell’amore di Dio in Cristo, servitore di tutti. Solo annullando la sua parola si possono accogliere idee esotiche importate come Coca Cola, idee che disegnano e strutturano strani “sommi sacerdoti” e strane “giurisdizioni”. Chi agisce così non segue l’esempio di Cristo, ma semmai è più vicino all’operato di Costantino. L’articolo citato sopra parla di una fantasiosa “restaurazione del Vangelo fatta dal Signore attraverso il profeta Giuseppe Smith”. Nel Nuovo Testamento non vi è traccia di una tale “restaurazione”. Non è infatti l’Evangelo di Cristo che ha bisogno di “restaurazione”, è piuttosto la persona umana che deve umilmente sottoporsi alla ricomposizione interiore grazie alla parola di “Gesù Cristo Signore” (Rom 7,15 ss.). Si tratta della meravigliosa riconciliazione con Dio in Cristo (2 Cor 5,16 ss.). Quanto poi al “Tempio del nuovo patto di cui parla l’apostolo Paolo nella lettera agli Ebrei”, anche qui si nota un’incongruenza grave con il pensiero di Cristo e di Paolo stesso. Ecco infatti uno stralcio della conversazione di Gesù con la donna Samaritana: Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte [Garizim] e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo». Gesù annuncia il Dio che è Spirito, parla di un culto “in spirito e verità” da non attuare “né sul monte Garizim, né a Gerusalemme”. Farà egli forse un’eccezione per i grandiosi templi mormoni in Svizzera o in America? Nella Lettera agli Ebrei, Paolo non scrive di alcun “Tempio”. Anzi, parlando ai filosofi di Atene, l’apostolo afferma chiaramente che il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra, non dimora in templi costruiti dalle mani dell’uomo né dalle mani dell’uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa (...) In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: Poiché progenie di lui noi siamo. Essendo noi dunque progenie di Dio, non dobbiamo credere che la divinità sia simile all’oro, all’argento e alla pietra, che porti l’impronta dell’arte e dell’immaginazione umana. Dopo esser passato sopra ai tempi dell’ignoranza, ora Dio ordina a tutti gli uomini di tutti i luoghi di ravvedersi... (Atti 17,24 ss.). Sulla copertina del libro di Ernesto Nudo campeggia la fotografia di una statua, scolpita secondo un modello iconografico tradizionale, di un Cristo accogliente; in secondo piano, un grandioso Tempio mormone. Tutto ciò è arte e immaginazione umana. Siamo distanti anni luce dalla verità morale spirituale dell’Evangelo, purtroppo. Tutto ciò che avrete fatto al prossimo lo avrete fatto “a me”, dice Gesù (Mt 25,40). Non quindi un bel pezzo di marmo scolpito. L’immagine viva del Cristo la incontriamo nel prossimo in carne ed ossa. L’ultima affermazione dell’articolista così recita: “Pertanto oggi tutti i membri della chiesa [mormone] possono godere delle sue benedizioni”. Si intende che “oggi” i fedeli possono godere di tali benedizioni aderendo, visitando, pregando nel magnifico tempio mormone. Grazie all’opera di Cristo, invece, non solo oggi, ma anche ieri e domani, chiunque, anche lontano da giurisdizioni e templi e pali e rami mormoni, può entrare in contatto con le benedizioni di Cristo, vero e unico Sommo Sacerdote, ubbidendo per fede alla sua parola sana. La parola di Cristo non cambia (Eb 13,8). Anzi, a ben vedere, giurisdizioni e templi e pali e rami sono elementi del tutto estranei al popolo del Signore di ieri, di oggi e di domani. ***** Nell’evangelo di Giovanni (capp. 14-16) Gesù dice che egli stesso intercederà presso il Padre a favore dei discepoli e il Padre darà loro un altro Consolatore. Pensiamo mai seriamente all’esistenza e presenza di Cristo nella nostra vita, e che un giorno dovremo render conto davanti al suo tribunale? Il Consolatore è lo Spirito di Dio, così diverso dallo spirito del mondo. Lo Spirito insegnò agli apostoli “ogni cosa” e ricordò loro “tutto quello” che Gesù disse. La parola sapiente del Cristo è scritta nel Nuovo Testamento. Egli ci mostra il Padre, dinanzi al quale dovremmo avere l’umiltà di ripetere con Teresa d’Avila: “Sólo Dios basta”. Davvero solo Dio ci è moralmente necessario e spiritualmente sufficiente. Perché aggiungere alla Sua parola sapiente i libri fantasiosi e fabulosi che costituiscono il Libro di Mormon, fondamento della chiesa mormone? Dio rende testimonianza a Cristo, e a nessun altro: neppure al profeta Giuseppe Smith. Cristo non è un sacerdote umano che ha bisogno di altri “sommi sacerdoti”, ma è presente e vicino ai discepoli ogni giorno e simpatizza con loro nelle loro infermità (Mt 28,20; Eb 4,15). Il Nuovo Testamento costituisce la nobile tradizione apostolica (parádosis) alla quale le pecorelle di Cristo possono accorrere come ad un pascolo ubertoso (Agostino). Qui la persona umile può conoscere e attuare la volontà del Padre. La Scrittura, ispirata dal Dio che è Spirito, è utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia affinché l’uomo di Dio sia “perfetto” (ártios), “pienamente equipaggiato” (exertisménos) per ogni opera buona (2 Tm 3,16 s.). La parola di Cristo è la sola luce in questo mondo ottenebrato da favole. © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 05 2017 Piccola bibliografia: MARIO AGNES, La professione di fede nei Concili ecumenici di Efeso e di Calcedonia, Cassino, 1983. (L’A., già direttore de L’Osservatore Romano e professore di Storia del Cristianesimo, presenta qui una posizione onesta sulla figura di Costantino in rapporto alla chiesa del IV sec.). BERNARD HÄRING, Perché non fare diversamente?, Brescia, 1993. (Una domanda che il noto teologo pone per tornare alla semplicità evangelica, eliminando gran parte dei titoli e delle sovrastrutture ecclesiastiche). HANS KÜNG, La Chiesa Cattolica. Una breve storia, Milano, 2001. (Volumetto interessante, divulgativo, sintesi di lavori molto più approfonditi che all’A. sono costati molto sul piano personale). FAUSTO SALVONI, Dal cristianesimo al cattolicesimo I. La chiesa e le sue strutture fondamentali nella Bibbia, Genova, 1974. Idem, Dal cristianesimo al cattolicesimo II. Sacerdozio e ministeri, Genova, 1977. (Due testi, ancora attuali, che mediante una severa analisi storica e biblica mostrano il passaggio dal cristianesimo originario al cattolicesimo come lo si conosce oggi).

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