Riflessioni

LAVORO NOBILITANTE / Riflessioni sul lavoro

Il lavoro nobilitante Che succede se l''oro e l''argento arrugginiscono? È di sicuro una cosa buona pensare ad attuare opere nazionali grandi e piccole. Ma c’è da domandarsi se l’opera più necessaria e urgente non sia proprio quella di creare le condizioni perché tutti abbiano un lavoro, un buon lavoro che nobiliti la persona umana. Dato che la lingua dell’evangelo è il greco, notiamo che in questa lingua “lavoro, servizio” si dice “leitourgía”, una parola che in origine poteva indicare anche il culto, cioè servizio reso a Dio. Anche nella lingua ebraica lo stesso termine (radice ''bd) può indicare “servizio” come pure “schiavitù” e “culto reso al Signore”. Forse non è un caso che le lingue antiche mostrino la sovrapposizione tra servizio/lavoro e servizio/culto. Forse in origine la vita degli esseri umani era tutta un culto al Signore? Era culto il lavoro con cui si onorava Dio ed era servizio religioso quel momento particolare in cui ci si concentrava assieme per pensare a Dio, meditare sulla sua bontà, riflettere sui suoi doni. In ogni caso, il Nuovo Testamento, ispirato dallo Spirito del Risorto, insegna cose ottime sul lavoro. Ecco qualche spunto. Scrive Paolo apostolo: “Chi rubava non rubi più, ma si affatichi piuttosto a lavorare onestamente con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a colui che è nel bisogno” (Efesini, 4). Il lavoro non solo è mezzo di sostentamento, ma anche strumento per aiutare chi ha bisogno. Non molti cristiani hanno recepito questa norma etica. Il cristiano non deruba, non è ozioso. Si ruba anche senza far bene il proprio dovere sul lavoro. “Servi, ubbidite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, nella semplicità del vostro cuore, come a Cristo, non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo. Fate la volontà di Dio di buon animo” (Efesini, 6). “Servi, ubbidite in ogni cosa ai vostri padroni secondo la carne; non servendoli soltanto quando vi vedono, come per piacere agli uomini, ma con semplicità di cuore, temendo il Signore” (Colossesi, 3). Forse fra gli schiavi di un tempo e i lavoratori di oggi c’è grande differenza? Forse c’è. Eppure quante volte il lavoro è oggi alienante e monotono, quello in fabbrica come quello della casalinga. I discepoli di Gesù lavorano, però, servendo Cristo. Operano bene non solo quando il padrone li guarda, ma come servendo il Signore stesso. Così attuano una cosa voluta da Dio. In tal senso il lavoro è parte del loro servizio di culto. Molti primi cristiani erano datori di lavoro (o padroni di schiavi). Per cui l’Evangelo dice loro: “Padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone nel cielo” (Colossesi, 4). Dimenticato il Padrone in Cielo, restano quelli sulla terra. Il problema grave del mercato del lavoro è sempre stato l’arricchimento di pochi a danno dei molti frodati dei frutti del loro lavoro. A questo proposito Giacomo, molto probabilmente il fratello (greco, adelfós) di Gesù, scrive parole notevoli: “A voi ora, o ricchi! Piangete e urlate per i guai che stanno per venirvi addosso! Le vostre ricchezze sono marcite e le vostre vesti sono tarlate. Il vostro oro e il vostro argento sono arrugginiti, e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori negli ultimi giorni! Ecco, il salario da voi frodato ai lavoratori che hanno mietuto i vostri campi grida; e le grida di quelli che hanno mietuto sono giunte agli orecchi del Signore delle schiere. Siete vissuti sulla terra tra piaceri e delizie e avete impinguato i vostri cuori in tempo di strage. Avete condannato, avete ucciso il giusto. Egli non vi oppone resistenza” (Giacomo, 5). Quante pagine di Storia si potrebbero leggere alla luce di queste parole infuocate ispirate dal Cristo. Un evangelo ben poco noto, purtroppo. Quanti guai e quanti morti ammazzati si sarebbero potuti evitare se... Quanto sarebbe più gioiosa la vita se al posto dell’egoismo mettessimo la condivisione. Le ricchezze “marciscono”, se sono frutto di ruberia. Chi è serio sa che non se le può portare là dove sta andando. Anche l’oro arrugginisce. È una metafora, certo, ma significativa per quanti “accumulano tesori negli ultimi giorni”. Gli “ultimi giorni”, secondo il Vangelo, sono iniziati con la venuta, la morte e la risurrezione di Gesù. Perciò, predicare la “fine” e, intanto, accumulare è folle. Non gridano solo i lavoratori derubati, ma è il loro basso “salario” che grida l’ingiustizia. Una famosa arringa di Paolo si conclude così: “Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che darò la retribuzione, dice il Signore” (Romani, 12). © Riproduzione riservata Roberto Tondelli – 02 2019

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