Perseveravano concordi - Giuda il contumace
Per ritornare al piacere di parole che siano Parola/Atto di Dio
“Perseveravano concordi” (Atti 1,13-14)
[con un approfondimento su Giuda il contumace]
1. Chi sono costoro? (Lc 8,2-3: un elenco analogo?): lettura di Atti 1 con particolare attenzione ai vv. 13-14.
Gli undici apostoli: che spesso non avevano capito Gesù (Mc 7,18); che lo avevano tradito tutti;
Le donne “guarite”: che avevano sostenuto economicamente Gesù e gli apostoli;
Maria: che aveva ubbidito a Dio (Lc 1,38), ma aveva anche ritenuto quel figlio “fuori di sé” (Mc 3,21 ss.);
I fratelli di lui [Gesù]: che non avevano creduto al proprio fratello (Gv 7,5);
Che cosa fanno assieme? Che cosa li tiene assieme?
Si rimproverano forse i reciproci tradimenti e le reciproche incomprensioni? Toma avrà superato la vergogna per la sua famosa assenza qualche settimana prima? Giovanna di Cuza accusa forse Pietro per la faccenda del “gallo”? Sono forse riuniti per stabilire ora finalmente chi di loro sia il maggiore? Fissano i termini per il riconoscimento di uno fra loro la cui autorità sia indiscussa? Ritengono di essere un gruppo di perfetti o di impeccabili?--- Nulla di tutto ciò. Perché quel che li accomuna assieme vale estremamente più delle loro fragilità umane.
Forse il loro esempio di perseveranza può servire a rispondere con saggezza alla accorata questione attuale: è possibile attuare qualche cosa di veramente serio come chiesa di Dio, per la chiesa del Signore, con la chiesa Sua anche in questa società distratta e insensibile?
2. Torna la questione: Che cosa li ha messi assieme e li accomuna?
Il ravvedimento (Lc 15,10)
La fraternità (Mt 23,8)
Il pane comune (Mt 15,36; Lc 15,17: anche il pane del ravvedimento!)
Vivono in mezzo a un popolo insensibile, ma essi sono molto sensibili (Mt 13,15)
L’amore di Dio secondo Gesù (Gv 14,23: sentimento? sentimentalismo? quale amore?)
Essi sono “buona terra” che porta (porterà) frutto con perseveranza (Lc 8,15)
Cercano davvero prima il regno di Dio (Mt 6,32-34: preso sul serio…)
Il desiderio di fare la volontà di Dio (Mt 7,21: preso sul serio…).
Domanda capitale connessa alla presentazione di queste persone (v. punto 1.): perché Giuda Iscariota è assente? (Non semplicemente perché si è impiccato, è precipitato…). Tutte le persone di cui sopra, in un modo o in un altro hanno tradito Gesù, però solo Giuda è assente: come mai? Giuda: il rappresentante del grande mistero del male? Che cosa “manca” al male? Perché Giovanni Battista, Gesù, gli apostoli e tutti i primi predicatori hanno introdotto sempre la loro predicazione con lo stesso appello: quale?
Torna la questione fondante: Che cosa (anzi: chi) li ha messi assieme e li accomuna? Li accomuna proprio Gesù: nonostante i loro fardelli personali. Gesù Cristo è infatti colui:
che aveva chiamato gli apostoli uno a uno (Gv 1,35-51):
anche noi chiamati a uno a uno, come pietre vive (1 Pt 2,5) che si accostano al Signore dopo aver gettato via che cosa? (1 Pt 2,1) per bere che cosa? (1 Pt 2,2);
che aveva guarito Maria Maddalena e le altre donne (Lc 8,2):
anche noi guariti (Is 53,5); si prega per essere guariti=perdonati (Gc 5,16); ci si incoraggia e si cammina diritto per essere guariti=corretti (Ebr 12,12);
che aveva ricevuto i loro doni (Lc 8,3):
riceve anche i nostri doni di liberalità=generosità (2 Cor 9,7), pur essendo sempre Dio che ci dona ogni cosa con Cristo (Rom 8,32);
che era apparso a Giacomo (1 Cor 15,7):
a noi non è apparso Gesù risorto, però vale proprio per noi una sentenza famosa: Gv 20,29 cui si legano le parole di 1 Pt 1,8 ss: come si supera la “prova della fede” di cui in 1 Pt 1,7?
che aveva affidato sua madre a Giovanni (Gv 19, 26 s.):
Gesù affida gli apostoli a Dio (Gv 17,15-16); e affida anche i discepoli tutti a Dio (Gv 17,20-26);
Gesù affida sua madre, non insegna a ripudiare la propria famiglia, ma insegna che Mt 10,34-38: occorre pregare per questi nemici?
Gesù affida tutti i popoli al Padre, suggerendo un percorso a ciascuna persona (Mt 28,19 s.: il cammino non sta solo nell’ “andate”, ma sta nella piccola parola “nel”, cioè “nel nome di…”: che cosa significa?).
Una prima conclusione: confrontarci con questo nucleo originario di credenti - imitiamoli!
Invito: a ravvedimento e conversione col cuore rivolto a Dio.
3. In che cosa consiste il loro presente? Cioè qual è la crisi esistenziale che hanno attraversato e da cui stanno gradualmente uscendo?
Dallo sconvolgimento per una delusione cocente (Lc 24,21) alla meraviglia sublime (Lc 24,34; Atti 1,3): la forza delle loro preghiera origina proprio qui;
dalla delusione alla convinzione, cioè alla fede fiduciosa nel Risorto (1 Cor 15,3 ss.): l’energia della loro preghiera sprigiona da qui;
Atti 1,13-14: i loro incontri sono continui, costanti, e queste persone sono “assidue” – la loro con/cordia è evidente – la forza della loro preghiera comune è il modello di tutte le preghiere che saranno elevate in futuro (Gv 14,13 s.; Atti 1,13-14 + 4,24 ss.): la loro preghiera è l’inno innalzato da un coro umile e con-corde (= unico cuore!) che eleva un’armonia rispettosa e armoniosa, un canto colmo di timore di Dio e fiducia, un alleluia trepidante e commosso in cui gli occhi dei presenti si incontrano e si scambiano l’affetto e la persuasione che il Risorto infonde già nei loro cuori.
Lezione: forse anche oggi proprio con la perseveranza concorde in Cristo si supera ogni crisi?
4. Che cosa si aspettano dal futuro? Che cosa c’è nel loro futuro?
Aspettano il compimento di una promessa (Atti, 1,8 + Gv 14,25 s; 16,12 ss.);
Si preparano all’opera di testimonianza (Atti 2,18. 36; 5,42);
Nel futuro di quel gruppo originario di credenti c’è realmente la chiesa in Cesarea, Ioppe, Berea, Filippi, Atene, Troas, Pozzuoli… nel loro futuro ci siamo noi oggi; noi non ci saremmo senza la loro testimonianza fondante, così come non ci saremmo senza i patimenti del Cristo (Is. 53,10: “progenie… opera delle sue mani… frutto del tormento dell’anima sua… i molti”);
Una conclusione confrontando noi stessi con questo nucleo originario di credenti: imitiamoli!
Prima che si diffondesse una politica ecclesiastica, prima delle dogmatiche decisioni, prima delle strutture ecclesiastiche, prima degli organismi ecclesiastici, prima degli accentramenti autoritari, prima delle guerre di religione, prima delle divisioni tra occidente latino e oriente greco…
Ma anche prima dell’impazienza, prima dell’invidia, prima della cristiana presunzione, prima degli orgogli, prima dei comportamenti sconvenienti…
prima… era la parola e con la parola era la preghiera, la perseveranza nella preghiera con un cuore unico e un’anima sola, la preghiera che caccia via i dèmoni dal nostro cuore (Mc 9,29; Atti 1,14 + 4,32).
Approfondimento
Giuda il contumace
Riprendiamo il piccolo brano che è oggetto di meditazione:
Entrati in città salirono al piano superiore dove abitavano. C'erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo di Alfeo e Simone lo Zelòta e Giuda di Giacomo. Tutti questi erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la madre di Gesù e con i fratelli di lui (Atti 1,13-14).
Nell’elenco degli apostoli Giuda brilla per la sua assenza. Vedremo che la sua peculiarità è proprio la mancanza. La sua è un’assenza che certamente pesa all’interno del gruppo, mentre può permettere a noi una rapida rivisitazione della sua figura e della sua vita accanto a Gesù (si lasciano questi aspetti all’esercizio personale del Lettore sul testo dei Vangeli). Ma quell’assenza può anche consentire una domanda sul motivo del suo suicidio. Anche Pietro tradì, ma non si suicidò. Come mai Giuda sceglie d’impiccarsi?
Giuda è un nome che bisognerebbe sentir pronunciare da un siciliano. I siciliani sono dotati di un modo molto significativo di pronunciare questo nome. Se qualcuno dei Lettori ha buona memoria, può ripensare a come lo pronunciò il magistrato Paolo Borsellino all’indomani della strage di Capaci (23 maggio 1992).
La fama di traditore ha oscurato la reputazione di Giuda come ladro. Quando Maria profumò i piedi di Gesù con olio di nardo purissimo, Giuda se ne risentì rimproverando quello spreco: “Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si sono dati ai poveri?” Al fatto assiste anche il giovanissimo Giovanni, che da vecchio lo ricorderà e commenterà in questi termini:
Giuda disse questo non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro (Gv 12,6).
Non si può certo dire che Gesù mostrasse grande accortezza come “organizzatore” se aveva permesso a un tipo simile di tenere la cassa – per fortuna i cristiani, dopo di lui, avrebbero strutturato “meglio” la Chiesa, in modo da non farsi turlupinare tanto facilmente, anzi… Ma questa è un’altra faccenda che rischia di portare facilmente fuori tema.
Che tipo è questo Giuda? È possibile cercare di dire qualcosa di più sul suo carattere, sul suo atteggiamento, sulle sue motivazioni e le sue tendenze? Forse sì.
Giuda ruba molto più che qualche denaro dalla borsa. Giuda cerca di rubare con gli occhi quando assiste ai grandi segni operati da Gesù; vorrebbe imitarli, e in qualche occasione ci riesce (Mt 10,1-2), ma prova subito dentro di sé un moto di vaga perplessità per come è adoperata quella “autorità di sanare qualunque malattia”… Giuda ascolta attento le risposte lapidarie geniali che escono dalla bocca di Gesù; le impara subito, e vorrebbe replicare anche lui allo stesso modo, vorrebbe cioè rubarle, farle sue, e in qualche occasione forse ci prova, tentando anche lui di imitare il Maestro, ma si accorge che gli manca la stoffa per raggiungere la statura del Maestro... Giuda ascolta rapito quei sermoni magistrali pronunciati da Gesù – anche se a tratti incomprensibili (“Beati gli umili e i mansueti”? ma che sta dicendo?!); parole e concetti duri che cominciano a fargli balenare il sospetto che Gesù possa anche sbagliare, magari senza volerlo…
Giuda è persona consapevole. Conosce la regola che Gesù pratica e insegna: “Se tuo fratello ha peccato va’ e riprendilo fra te e lui solo…” (Mt 18,15 ss). E la regola non può non valere anche per Gesù stesso che l’ha enunciata. Se dunque Gesù erra deviando dalle aspettative messianiche nazionali(-stiche) che bollono nelle menti di quanti lo avvicinano, perché Giuda non lo riprende? Quante volte Gesù ha ripreso gli apostoli per la loro poca fede o perché non capivano nulla (Mt 8,26; 15,16)? Perciò non ci sarebbe nulla di strano se, convinto dell’errore di Gesù, Giuda lo riprendesse, certo con le dovute maniere. Giuda invece tace. E questa sua mancata riprensione deruba Gesù di quel rimprovero fraterno che, sempre secondo Giuda, avrebbe potuto correggerlo per tempo.
Giuda tace e osserva. Gesù insegna e predica con franchezza in pubblico. Giuda tace e osserva in privato. Forse Giuda prende persino qualche appunto dei discorsi di Gesù (non era cosa insolita), ma s’accorge che a lui manca lo spirito per pronunciare le parole trascritte. Inizialmente quegli appunti sembrano forse anche a lui un modo per ricordare meglio quelle parole eterne... Giuda ascolta attento quei confronti e contrasti efficacissimi fra la tradizione giudaica e la norma alta di una legge che mira al cambiamento della mente della persona, alla trasformazione della sua stessa “natura” (2 Pt 1,4); è affascinato dal genio semplice di Gesù. Ah, se fosse lui, Giuda, a possedere quella genialità! la adopererebbe per arringare le folle di Gerusalemme e muoverle alla rivolta…
Giuda nota il pianto di Gesù davanti alla tomba dell’amico Lazzaro, e sul momento si commuove lui stesso, convincendosi di condividere gli stessi sentimenti di Gesù e degli altri apostoli… anche se dentro di sé sente qualcosa che non lo persuade fino in fondo: perché questa parzialità? Perché risuscitare solo l’amico? Perché non risuscitare all’istante tutti i morti ebrei, traendoli dalle loro tombe per costituire con loro l’esercito necessario a buttare in mare i Romani invasori?
Giuda ascolta le accuse coraggiosissime pronunciate da Gesù contro scribi e farisei assisi sulla cattedra di Mosè (Mt 23). Giuda certo condivide la sostanza di quell’arringa, eppure nello stesso tempo c’è qualcosa che non lo persuade del tutto: perché prendersela solo coi capi corrotti del popolo e non usare lo stesso impeto contro i rappresentanti di Cesare, veri responsabili della situazione?
Giuda ascolta attento anche il grande sermone del Maestro, quello che dipinge la distruzione del Tempio (inconcepibile!), che cita strane parole del profeta Daniele (incomprensibili!), che parla di fughe e di aquile radunate attorno al carname (ma che sta dicendo?!). Giuda si pone domande dubbiose, pensa, ragiona, è in ansia: perché mai Gesù sembra sempre mancare il bersaglio vero, cioè Roma, mentre ora sembra prefigurare addirittura la distruzione di Gerusalemme? Ma che cosa ha davvero in testa il Maestro? A che gioco sta giocando questo Gesù?
Mentre lo ascolta e lo guarda con occhi nuovi, trovandolo sempre più incomprensibile, la mente di Giuda si arrovella. Eppure di queste sue domande non parla mai con Gesù... Ha il Maestro proprio accanto a sé, a sua disposizione 24 ore su 24, ma Giuda non si lascia sfuggire una sola parola sui suoi dubbi. Ha preso qualche appunto delle parole di Gesù. Ma ora quegli appunti sembrano pizzini che lui solo ha trascritto con cura; quel giorno Gesù ha detto così e così, una settimana dopo ha fatto così e così…
Gesù parla e insegna e agisce in pubblico. Giuda pensa e cogita e dubita nel chiuso della sua mente che sta covando... Satana non è ancora in lui, ma lui gli sta facendo posto (Ef 4,26-27 al contrario). Giuda forse non s’accorge che la sua iniziale ammirazione per il Maestro si sta gradualmente trasformando in invidia. Invidia per quei talenti strepitosi che, secondo lui, sono così malamente amministrati; invidia per quella fama acquisita e per quella reputazione diffusa; a Gesù le cose stanno andando proprio bene, molti lo stimano, gli esprimono amore e lo accolgono… Ma Gesù, agli occhi di Giuda, non sembra trarre profitto alcuno da quella reputazione, e ciò lascia molto perplesso Giuda, che perciò lo invidia…
Ecco allora farsi strada pian piano nella mente di Giuda una semplice magnifica idea geniale, frutto – secondo lui – proprio di quei miracoli, di quegli insegnamenti e sermoni geniali visti e uditi. Egli indurrà Gesù a un’azione finalmente chiara e aperta! Scribi e farisei sono avvelenati contro il Nazareno, e pur di prenderlo e fermarne l’azione sarebbero disposti a pagare qualsiasi cifra. Ma Giuda si contenta di pochi denari. Forse pensa di attenuare così il suo tradimento? Che poi, secondo lui, non è un vero e proprio tradimento, è solo una piccola molla per far scattare in Gesù la reazione nazionale(-istica) tanto attesa da tutti. Giuda vuole solo smuovere Gesù perché esca finalmente allo scoperto contro il vero bersaglio: Roma e il suo maledetto esercito occupante.
Adesso infatti la mente contorta di Giuda è satura di una certezza assoluta – certezza di cose che lui e mille come lui sperano –, la sua mente malata è dominata da un convincimento incrollabile proprio come la sua stessa grande fede nel Maestro: Gesù ha salvato altri, e perciò sarà capace di salvare certamente se stesso! (Lc 23,35).
È noto come sono andate a finire le cose. Quella semplice grande idea geniale, sorta in lui gradualmente, è il segno che satana dilaga ormai nella mente di Giuda (Gv 13,27).
******
Oggi Giuda è assente dalla quieta assemblea di ravveduti descritta in Atti 1,13-14. Giuda manca. Il suo nome non figura più tra quelli dei discepoli. Avrebbe potuto essere presente? Risposta: senz’altro sì, se solo avesse pianto sfogando tutto il proprio pentimento, se solo avesse parlato, chiesto, ascoltato, se solo avesse confessato, come ha fatto Pietro, non meno colpevole di lui. Ma Giuda ha commesso un errore che gli è stato fatale: ha creduto di poter coltivare dentro di sé domande, pensieri e dubbi senza farne parola né col Maestro né con gli altri discepoli, illudendosi di riuscire a controllare sempre quelle domande, quei pensieri, quei dubbi. Giuda, cioè, ha preteso di essere autonomo rispetto a Gesù Cristo, autonomo rispetto al gruppo dei discepoli.
Riflettendo, si comprende che Giuda non è assente solo da oggi, ma già da tempo manca. Se pure talvolta ha accennato a qualcosa, come per quel costoso olio di nardo, Giuda non ha mai scoperto le sue carte, non si è mai fatto capire. Su quelle domande, su quei pensieri e dubbi ha costruito quella che egli pensava fosse la casa incrollabile della sua fiducia malata. Poi è arrivata la realtà dei fatti, e la fiumana delle conseguenze lo ha travolto e distrutto.
Ora Giuda ha capito d’essersi sbagliato. Ha compreso l’enormità del suo atto e la vacuità delle sue domande, dei suoi pensieri, dei suoi dubbi. Ha giudicato male, ha giudicato secondo l’apparenza di quei segni potenti, di quelle lezioni magistrali, di quelle risposte geniali. Ha pensato che il Maestro fosse uno che aveva tutte le risposte pronte; non ha considerato che quelle risposte erano invece frutto di ascolto umile del Padre, di studio e meditazione della Scrittura, e di preghiera continua. Perciò Giuda ha frainteso. Ha errato grandemente. Ma qual è l’esito di questa sua tardiva comprensione? La mancanza, la contumacia.
Oggi Giuda è continuativamente assente dall’assemblea dei ravveduti descritta nel brano delicato di Atti 1,13. È assente non semplicemente perché si è impiccato, ma prima di tutto perché non si è ravveduto. Infatti, è proprio il suo mancato ravvedimento che lo ha ucciso. Gli è mancata l’amarezza del pianto (Mt 26,75b) che ammette e confessa il proprio peccato: Lui, il mio Maestro, ha parlato apertamente e lealmente, io invece ho cogitato di nascosto, senza consultarlo mai; Lui ha agito sempre apertamente davanti a tutti, io invece ho agito sempre alle spalle di tutti.
Ci si può chiedere: Giuda potrebbe non impiccarsi e decidere di tirare a campare? Probabilmente sì. Potrebbe persino costituire un piccolo gruppo di credenti che adotta proficuamente quegli appunti sui fatti compiuti e i discorsi tenuti da Gesù. Insieme potrebbero anche fare il culto (la questione sarebbe: a chi?). Ma Giuda e coloro che fossero in comunione con lui sarebbero solo dei morti ambulanti, perché mancherebbe loro l’elemento stesso che li potrebbe rendere vivi: il ravvedimento.
Giuda sceglie dunque l’assenza, l’abbandono della adunanza comune (Eb 10,25 al contrario). È questo il suo sermone, con cui tutt’oggi convince e fa discepoli. Così infatti agiranno, dopo di lui, tutti coloro che al ravvedimento fattivo, al pianto accorato, al pentimento sincero preferiranno il silenzio, la contumacia, i pizzini. Sceglieranno l’assenza. L’assenza è la corda robusta che spezza l’osso del collo all’impiccato. Si poteva dire che l’assenza è la corda robusta che spezza l’anima, ma l’immagine non sarebbe risultata altrettanto chiara. Se decidi di chiudere con le adunanze “ai piedi di Cristo” in cui sei rinato d’acqua e di Spirito, ti rompi l’osso del collo. Detto così è più significativo, come il nome “Giuda” risulta più significativo se pronunciato da un siciliano.
Giuda è ora maestro, pur non essendo certo “da più del suo Maestro” (Lc 6,40). Giuda e i suoi discepoli parlano e agiscono contro gli scopi di Gesù; propongono gli stessi dubbi evanescenti, le stesse domande vacue, e si propongono addirittura con la stessa incredibile smania di essere “Cristiani per la Nazione”; presentano il tutto sempre con la stessa slealtà, mal celando la stessa invidia che Giuda nutrì per le opere e le parole del Maestro. Ma “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” e continua perciò a dichiarare: “In verità vi dico che quanto avete fatto a uno di questi miei MINIMI FRATELLI, l’avete fatto A ME” (Eb 13,8; Mt 25,40). L’equazione non potrebbe essere più semplice:
“i miei minimi fratelli” = “me” (Gesù)
Un matematico definirebbe “bella” questa relazione. Ma secondo Giuda forse questa è solo una delle solite esagerazioni del solito Gesù...
Giuda sceglie l’assenza. L’impiccagione-assenza è la scelta di chi, dopo aver taciuto e contato per bene fatti e parole, s’accorge forse che il suo conto non torna, ma s’intestardisce a tacere (o vuol parlare alle spalle?). Perciò si chiude la gola col nodo scorsoio, in modo da continuare a non considerare e a non ammettere che l’errore compiuto è stato incommensurabile, una colpevole svista di portata assoluta: colui che mi ha portato il Vangelo stava edificando la chiesa di Dio; io ho tentato di guastarla e così mi sono messo contro Dio(1 Cor 3,17); “i miei minimi fratelli” continuano la dura opera di edificazione nel Signore e col Signore, io invece mi assento dai miei minimi fratelli, cioè m’impicco.
Dimentico in tal modo che potrei ancora scegliere una strada ben diversa, quella percorsa dal traditore Pietro, il quale indica che anche il più grande dei peccati può essere perdonato, se c’è ravvedimento sincero e fattivo. Se invece “pecchiamo volontariamente dopo aver ricevuto la conoscenza della verità, non resta più alcun sacrificio per i peccati; rimangono una terribile attesa del giudizio e l’ardore di un fuoco che divorerà gli avversari…” (Eb 10,25 ss.).
Caro Giuda, Dio ti conceda di ravvederti dei tuoi rumorosi silenzi, così stridenti con la parola leale del Maestro; possano i tuoi dubbi vuoti trovare risposta piena nella parola di Gesù; che le tue domande ansiose trovino in Gesù la Sapienza di cui necessitano; possa tu pentirti della tua contumacia che non gusta più né l’amore né la presenza di Cristo né l’affetto dei tuoi “minimi fratelli”; possa tu riconoscere che persino la tua invidia è un peccato del tutto inutile, perché anche a te il Maestro ha donato “tutto pienamente” (Col 2,10). Pur dolenti per la tua contumacia, i tuoi “minimi fratelli”, il nucleo di credenti radunato in Cristo, non ha smesso di salmeggiare con antiche parole attualissime:
Ecco quanto è buono e quanto è soave / che i fratelli vivano insieme! /
È come olio profumato sul capo, / che scende sulla barba, / sulla barba di Aronne, / che scende sull'orlo della sua veste. / È come rugiada dell'Ermon, /
che scende sui monti di Sion. / Là il Signore dona la benedizione / e la vita per sempre (Sl 133).
Roberto Tondelli
© Riproduzione riservata
Piccola Bibliografia
F. F. Bruce, The Book of the Acts, 1979.
R. Gutzwiller, Meditazioni su Matteo, 1961.
R. Gutzwiller, Meditazioni su Luca, 1961.
R. Gutzwiller, Meditazioni su Giovanni, 1961.
G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, 1944.
G. Ricciotti, Gli Atti degli apostoli tradotti e commentati, 1958.
F. Salvoni, Gesù Cristo i - ii, Milano, 1970/1971.
T. Soggin, Per capire la Bibbia, 1982.
Torna alle riflessioni