Riflessioni

Una citazione eccezionale: Mc 10,11-12

La verità è nell’Evangelo (In Evangelio Veritas) E perché molti sono d’opinione che il bene essere delle città d’Italia nasca dalla Chiesa romana, voglio contro a essa discorrere quelle ragioni che mi occorono, e ne allegherò due potentissime ragioni le quali secondo me non hanno repugnanzia. La prima è che per gli esempli rei di quella corte questa provincia ha perduto ogni divozione e ogni religione; il che si tira dietro infiniti inconvenienti e infiniti disordini: perché cosí come dove è religione si presuppone ogni bene, cosí dove quella manca si presuppone il contrario. Abbiamo adunque con la Chiesa e con i preti noi Italiani questo primo obligo: di essere diventati sanza religione e cattivi: ma ne abbiamo ancora uno maggiore, il quale è la seconda cagione della rovina nostra: questo è che la Chiesa ha tenuto e tiene questo provincia divisa. (N. Machiavelli, Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, I, 12). L’Evangelo di Cristo Gesù presentato nelle pagine del Nuovo Testamento è per tutti: “Andate, dunque, ammaestrate tutti i popoli...”, dice Gesù. Le sue parole echeggiano nel bellissimo eureka di Pietro apostolo che a Cesarea, dinanzi a un gruppo di militari della coorte Italica, afferma: “In verità io comprendo che Dio non ha riguardo alla qualità delle persone; ma che in qualunque nazione, chi lo teme e opera giustamente gli è accettevole” (Atti 10,34 s.). Paolo apostolo non è da meno quando attesta nell’epistola ai Romani: “… il mistero [salvezza in Cristo] fu tenuto nascosto fin dai tempi più remoti ma è ora manifestato e, mediante le Scritture profetiche, secondo l’ordine dell’eterno Dio, è fatto conoscere a tutte le nazioni per addurle all’ubbidienza della fede…” (16,25 s.). Ciò dovrebbe esser sufficiente a mostrare che la fede fiduciosa salvifica proposta da Cristo non è per questa nazione più che per quella; che parlare di cristiani per la nazione è quantomeno discutibile sul piano biblico; che il duplice “obligo” (Machiavelli) degli italiani verso “Chiesa e preti” avrebbe forse esiti ben diversi se fosse concentrato e rivolto verso l’Evangelo di Cristo. L’Evangelo attesta infatti che “Dio ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo, come a tastoni, benché egli non sia lontano da ciascuno di noi. Difatti, in lui viviamo, ci muoviamo, e siamo…” (Atti 17,26 ss.). L’Evangelo avrebbe voluto e vorrebbe che gli italiani, come tutte le altre “nazioni”, fossero non “sanza religione” ma responsabilmente religiosi, non “cattivi” ma resi buoni dalla parola buona di Dio, definito da Gesù come “il solo buono” (Lc 18,19; diverso dal buon Dio utilizzato da tanta letteratura). Qui si farà tuttavia un’eccezione alla universalità dell’Evangelo, perché si riferirà di una circostanza tutta italiana che a chi scrive appare piuttosto eccezionale. È diventato molto difficile nel nostro Paese che un italiano prenda una posizione netta precisa decisa su un argomento qualsiasi. Disinteresse, dimenticanza, trascuratezza, superficialità, ignoranza, spocchia o il semplice calcolo sembrano essere atteggiamenti mentali peculiari a troppe persone. Nell’ambito religioso queste peculiarità paiono amplificarsi esponenzialmente, perché gli italiani in genere sembrano aver abdicato ai propri diritti e doveri in favore di “Chiesa e preti”. Lo sanno bene quanti cercano di essere credenti pensanti, di costituire comunità di credenti responsabili, che ricerchino guida e consiglio in quell’Evangelo del regno di Dio che promette e garantisce • libertà dal peccato (Gv 8,32 ss.), • unità nella “parola” di Dio (Gv 17,17 ss.), • motivazione al ravvedimento sincero (mutamento di mentalità e vita: Lc 15,17 ss.), • consiglio divino sincero in “tutta la verità” (Gv 16,7 ss.) presentata nel Nuovo Testamento. Essere cristiani oggi, essere credenti pensanti, significa riappropriarsi non solo del diritto di leggere, esaminare la parola di Dio, ma anche del dovere di metterla in pratica con l’aiuto di Dio, forti della responsabilità che la fede fiduciosa comporta nei rapporti con Dio, col prossimo, coi membri della famiglia del Signore. Nel processo, faticoso e lento, di riappropriazione dell’Evangelo si scopre, tra l’altro, che pur essendo l’Evangelo di Dio perfettamente adatto alle culture più diverse, non è l’Evangelo che deve adattarsi all’essere umano, ma è questi che deve imparare ad ascoltare la parola di Dio, lasciandosi plasmare dalla “pazienza e consolazione delle Scritture”, le quali insegnano, riprendono, correggono, educano alla giustizia di Dio per rendere la persona umana completa, fornita di tutto per ogni opera buona (Rm 15,4; 2 Tm 3,16 s.). Su questo sfondo e in questo Paese si muovono uomini e donne che, apparentemente privi di diritti in ambito religioso, ignorano i propri doveri. È il trionfo dell’anarchia in ambito religioso ed etico. Ognuno fa ciò che gli pare meglio (Giud 21,25). È il trionfo dell’ignoranza in ambito religioso ed etico, spesso anche dell’ignoranza presuntuosa. È il trionfo della autonomia, perché ciascuno è la legge di se stesso. È il trionfo della indipendenza, perché nessuno vuole più dipendere da nessun altro, tantomeno da Dio. Uomini e donne sono resi superficiali, religiosamente effimeri, artigiani maldestri della cosa religiosa, cioè “sanza religione e cattivi” (Machiavelli). Ecco perché quando ci si trova dinanzi a un comportamento che fa eccezione a questo stato di cose, si resta positivamente meravigliati, anzi sbalorditi, stupefatti e commossi per una presa di posizione che è davvero eccezionale, o tale appare a chi scrive. Prima di riferire di quale eccezione si tratta, ci si chiede: Che cosa accade quando i “sanza religione e cattivi” fronteggiano le problematiche insite nelle questioni di matrimoni, separazioni, divorzi e seconde nozze? In queste circostanze gli italiani si comportano forse come “il negretto dell’Africa”? Il paragone non regge. L’esperienza dimostra infatti che moltissimi africani – per ora molto meno distratti di noi dall’edonismo, dai piaceri di questo mondo – non solo amano conoscere l’Evangelo, ma lo attuano con serietà e dedizione inimmaginabili in occidente. Nelle circostanze problematiche tipiche di matrimoni, divorzi e successive nozze, gli italiani sono forse inconsapevoli? Sono forse irresponsabili? Ignorano forse ciò che Cristo comanda nel Nuovo Testamento? Sono incoscienti? Davvero non sanno proprio nulla di ciò che Dio vuole e non vuole? Di ciò che Cristo ha detto e non ha detto? Di ciò che gli apostoli hanno o non hanno scritto? Certo, ci sono gli inconsapevoli, gli irresponsabili, coloro che volutamente ignorano Cristo, gli incoscienti, gli sconsiderati. Ma basta una sola persona pensante, un’anima sola che si pone dalla parte di Dio, perché il cuore di molti sia ricreato. Ecco dunque la circostanza eccezionale – o che a chi scrive sembra veramente tale – cui si è accennato sopra: Aurelio Verger Presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione A proposito dell’eucaristia ai divorziati risposati, il cardinale Kasper divaga sulla misericordia quando, invece, esiste il preciso insegnamento di Gesù: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei. Così pure la donna che ripudia suo marito e ne sposa un altro, commette adulterio (Mc 10,11-12). Dunque chi provoca il divorzio e si risposa non può ricevere l’eucaristia, perché vive in permanente adulterio. Questo è l’insegnamento di Gesù Cristo, non un’invenzione della Chiesa cattolica e chi sostiene tale insegnamento è un conservatore nel senso che il cristiano per vocazione conserva gli insegnamenti di Dio. (la Repubblica 21/09/2014) Si ringrazia l’alto magistrato italiano per queste parole che costituiscono una testimonianza scritta di valore. Egli non solo ha compreso ciò che alcuni credenti-non-pensanti non sembrano riuscire a comprendere, ma si è esposto a dichiarare per scritto le cose come stanno. Se quanti intervengono in questioni spirituali religiose morali lo facessero sempre per scritto, forse sarebbe più facile evitare la tentazione e il peccato della mal/dicenza, su cui tanto lo Spirito di Cristo ha da dire, per esempio, nella lettera di Giacomo (3,1 ss.). Chi scrive evita infatti ogni forma di pettegolezzo e di banale critica diffamatoria, e gode quindi della stima di ogni persona leale, fosse pure un suo oppositore. Grazie dunque al magistrato italiano che risponde per scritto al cardinale Kasper citando l’Evangelo di Cristo. Lo si ringrazia per un intervento biblico puntuale e semplice e raro, oggigiorno. Lo si ringrazia per il suo coraggio nel resistere con la Bibbia in mano al cardinale tedesco. È trascorso qualche secolo da quando papa Leone X (Giovanni di Lorenzo de’ Medici) e i suoi successori dovettero fronteggiare il monaco tedesco Martin Lutero che resisteva loro con la Bibbia in mano: “Das ist mein Bibel… weiter las ich mich nicht weisen”, questa è la mia Bibbia… non mi lascio guidare oltre. Non è interessante che oggi un italiano si opponga con la Bibbia in mano a un teologo tedesco? Si ringrazia A. Verger anche per aver rettamente sottolineato che “il preciso insegnamento di Gesù… non è un’invenzione della Chiesa cattolica”, il che dice almeno due cose: • che si tratta di un insegnamento preciso che dovrebbe essere comune a quanti si dicono discepoli di Cristo; • che occorre analizzare e distinguere bene, senza superficialità o banalità, tra “insegnamento” di Gesù e “invenzione”, della Chiesa cattolica o di qualsiasi altra chiesa. Si ringrazia inoltre A. Verger per aver offerto la definizione biblica corretta del cristiano che è chiamato (“vocazione”) a “conservare gli insegnamenti di Dio” (come è scritto in 2 Tim 1,13 s.), non a trarre “invenzioni” da questi insegnamenti. Le parole di A. Verger consentono di uscire da paludi morali non ancora del tutto bonificate, per respirare aria se non nuova, almeno diversa, più fine e salubre. Petrà, Kasper, Verger, Bergoglio, Mancuso, e molti altri animano una discussione che si apre su un tema indubbiamente problematico, che genera tanta sofferenza – nei figli anzitutto, nelle famiglie che si sfasciano, nei singoli che si risposano o si accompagnano. La discussione è segno di fermento, interesse, cura, preoccupazione, attenzione, scrupolo. Peccato che in altri ambiti ci si trinceri dietro una malintesa autonomia e indipendenza, si preferisca voltarsi dall’altra parte, inventare soluzioni di comodo. Peccato che in altri ambiti la ricerca della verità, anche su questi argomenti, sia stata purtroppo sostituita da pseudosoluzioni prive di discussione e studio biblico, frutto talvolta di mancanza di conoscenza. Si ringrazia A. Verger anche per aver smentito Machiavelli, avendo egli dimostrato che è possibile sottrarsi all’obligo di noi Italiani con la “Chiesa e coi preti”, sfuggendo al pesantissimo condizionamento religioso secolare per accogliere invece di buon grado un ben diverso obligo, quello che il discepolo di Cristo mantiene verso il proprio Signore unico. Quando gli uomini – fossero pur cardinali, teologi, papi e atei – propongono ciò che è contrario a Dio, il credente sa che “bisogna ubbidire a Dio anziché agli uomini” (Atti 5,29). Naturalmente non può sfuggire al Lettore attento che le parole di A. Verger pubblicate su la Repubblica del 21 settembre sono presentate in un contesto giornalistico preciso. Il 18 settembre C. Augias, rispondendo a una domanda sull’Islam affermava inopinatamente che “nella Bibbia e nel Corano si possono leggere i precetti più contraddittori” e che a questa regola non si sottrae “nemmeno il Nuovo Testamento”. Affermazione che nulla aveva a che vedere con la domanda posta. Equiparare poi Bibbia e Corano significa ignorare sia le più elementari norme della comparazione letteraria sia quelle del sobrio confronto spirituale. Su la Repubblica, lo stesso giorno, V. Mancuso sosteneva che “all’interno della Bibbia” si rinvengono “considerazioni spesso arretrate sulla donna e sulla vita sessuale” e affermazioni contraddittorie (articolo su varie colonne). Nulla di nuovo sotto il sole. Un teologo cattolico rinnova in altra forma e in altri termini la disistima e la sfiducia antiche nei confronti del testo biblico, nonostante gli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Il 21 settembre l’editoriale di E. Scalfari (altro articolo lungo) traeva spunto da una frase del cardinale W. Kasper: “La Chiesa non può dar l’impressione d’essere un castello con il ponte levatoio tirato su, le porte serrate, postazioni e sentinelle ovunque”. Scalfari proseguiva dicendo che di questa immagine si è appropriato anche M. Bergoglio che aveva detto: “La Chiesa deve guardare alla realtà concreta, chinarsi sui fatti del mondo con tenerezza e accoglienza. I dottori delle leggi, gli scribi, i farisei, parlavano bene e insegnavano la legge. Ma lontani. Mancava la compassione e cioè patire con il popolo. Il Signore non è mai stanco di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono”. Come si vede, le poche parole di A. Verger, scritte per ricordare un comandamento di Gesù, erano strategicamente ben controllate e giornalisticamente seppellite. Nel contempo, il liberalismo italiano poteva conferirsi la patente di onestà intellettuale per aver appunto pubblicato ventidue righe di A. Verger su una colonna. È vero che la chiesa – qualunque chiesa, non solo la cattolica – non può dar l’impressione d’essere, né essere di fatto, arroccata e chiusa. Ma non dev’essere neppure una banderuola che segue “ogni vento di dottrina” (Ef 4,14). La chiesa – qualunque chiesa, non solo la cattolica – deve contrastare quanti “non sopportano il sano insegnamento e, per prurito d’udire, si accumulano dottori secondo le loro proprie voglie” (2 Tm 4,3 ss.). Chi fissa le norme spirituali per la “vita nuova” del popolo nuovo di Dio non sono gli uomini – fossero pur cardinali, teologi, papi e atei –, ma è Cristo Gesù, il “capo di tutto” (così il testo greco in Ef 1,22). È vero che Cristo non si stanca mai di perdonare, ma di perdonare colui che “si ravvede” (Lc 17,3 s.). Ecco perché alla donna colta in flagranza di adulterio Gesù dice “Va’ e non peccare più” (Gv 8,11b). Che cosa vorrà mai dire questa amorevole esortazione? Si conclude proponendo un’altra domanda per la comune riflessione critica. A proposito di “considerazioni arretrate sulla donna… contenute nei vari libri biblici” (Mancuso), si ri/legga il racconto dell’incontro di Gesù con la donna di Sichar (Gv 4). Si gusti la fine psicologia con cui egli le si accosta, affrontandone le problematiche più intime e rispondendo con pacata sapienza alle sue domande. La donna lascia la sua secchia preziosissima per andare ad annunciare alla sua gente di aver trovato il Cristo/Messia (Gv 4,29), che sarà poi riconosciuto da “molti” samaritani come “il Salvatore del mondo” (4,42b). L’azione di Gesù è magnifica: è lui infatti che “guarda alla realtà concreta” (Bergoglio) degli abitanti di Sichar; è lui che “si china con tenerezza e accoglienza sui fatti” (Bergoglio) di quei samaritani; è lui che non si limita a “parlare bene e a insegnare, restando lontano” (Bergoglio) dalle persone, ma si avvicina loro, superando i tabu culturali che opponevano ebrei a samaritani; è lui che “ha compassione e patisce” (Bergoglio) con i cittadini di Sichar; è lui che desidera “perdonare” (Bergoglio) i samaritani (4,39 ss.), che trovano in lui salvezza (4,42b); ed è indubbiamente lui che guarda alla realtà concreta della donna samaritana, la accoglie con tenerezza, le si mostra vicino, ne ha compassione, la converte. Domanda: la donna che ha incontrato Gesù vicino alla fonte di Giacobbe, la donna che almeno in parte ha contribuito alla salvezza dei suoi concittadini con la propria testimonianza personale (4,39), la donna che aveva avuto cinque mariti (4,18), quella sera tornò a casa per rimanere a convivere col sesto compagno, continuando a rifornire d’acqua la casa di lui, oppure prese una decisione alternativa? © Riproduzione riservata – R. T. – 2014

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