Riflessioni

Bussola per società disorientata

CHIESA DI CRISTO IN POMEZIA ____________________________________________________________ Roberto Tondelli Quale bussola per una società senza orientamento? ROMA 2015 Solo per fede Si appiccia il lume nell’ora delle tenebre Perché serva forse Ad allumare l’ora che verrà Se non diversamente indicato, le citazioni bibliche sono tratte dalla Versione Riveduta (G. Luzzi). __________________ Copie di questo saggio possono essere richieste ai seguenti riferimenti: Chiesa di Cristo Biblioteca Biblica Storica Religiosa Largo Goffredo Mameli, 16A 00040 Pomezia-Roma (RM) info@chiesadicristopomezia.it tel: (+39) 06 91251216 - (+39) 339 5773986 Quale bussola per una società senza orientamento? © Proprietà letteraria riservata – Roberto Tondelli, marzo 2015 Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l’archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l’autorizzazione scritta dell’Autore. Synopsis What compass for a society with no orientation? The well-known work sociologist Domenico De Masi (University of Rome, La Sapienza), in his book Mappa Mundi (2014), writes that “all post-industrial society lacks an intellectual basis. That causes a profound disorientation for which we are no more capable to distinguish what is good and what is evil, what is beautiful and what is ugly, what is left and what is right, even what is male and what is female, what is alive and what is dead…. I maintain that as soon as possible it is necessary to elaborate a pattern having universal value and the best of all previous patterns, discarding the negative aspects” (emphasis mine). Though De Masi’s thesis is obviously primarily sociological and political, it also allows moral spiritual considerations. First, his words strike for their humility in admitting “profound disorientation”. True culture is always humble. Second, the lack of capability in distinguishing good and evil, and so on, is clearly determined by a lack of criterion in doing so. For all the NT writers it is quite clear that such a criterion does exist, though Christians tend sometimes to forget it and non-Christians to neglect it. Christ is the only master and guide, which should be read as an existential, not a rhetorical, statement (Mtt. 23:8 ff.). Third, De Masi’s very words are the unmistakable sign of a general situation of moral spiritual laxity, a situation lamented by all the prophets (e.g. Judges 21:25!), Christ and the apostles. Evidence of such a laxity is the situation of people engaging in multiple marriages/remarriages, separations because of personal, temper, private, sometimes egotistic and/or intolerance motivations, each of which should be carefully and prayerfully considered, and wisely judged in the light of the Scriptures. But such an attentive course is quite different from the “leave them in the hands of the Lord” and “live and let live” approaches. Conscience and personal responsibility are not to be underestimated (quite to the contrary), just as it is not to be underestimated the “honor” the Lord links to marriage life (Heb. 13:4). Fourth, laxity brings recklessness along with it, as even the eye of the man in the street (not just the sociologist) can tell at a glance. Much more should tell so the (inner) eye of a Christian, whose mind should be renewed (Greek, metánoia) by the spiritual moral knowledge of Christ. But when the mind is corrupted by the spirit of this world (particularly by the demons of evil use of sexuality and economic interest in marriage, separation, divorce, remarriage, etc.), then the very last sociological – and more than that, moral spiritual – distinction between “what is alive and what is dead” comes to nothing. Moral spiritual death is behind the corner. The individual is in such a state that the consent of just a few ones, as disoriented as he is, to his disoriented behavior is sufficient to make him/her feel his/her conduct to be not that wrong after all. If others can do so and tell me it is all right to do so, then why I could or should not do so? Not a new refrain. The individual is thus led to believe and practice what he chooses to believe and practice – which is the Greek meaning of the NT word heresy (Gk. verb aireomai). Fifth, it is here proposed that man, woman, society have lost orientation simply because they have lost – sometimes willingly – that precious compass which is the conscience lit up by the New Testament of Christ. Paraphrasing Descartes one might say I think, thus I believe. Which can also be reversed, I believe, thus I think. Individual conscience led by the will of the Lord can reach genuine moral spiritual orientation and salvation. R.T. • Quale bussola per una società senza orientamento? Ai giovani disorientati dagli adulti Nel volume Mappa Mundi (2014) l’autorevole sociologo del lavoro Domenico De Masi, dell’Università di Roma, La Sapienza, scrive: Tutta la società postindustriale, non solo l’Occidente, manca di una base intellettuale. Ciò determina un profondo disorientamento per cui non siamo più capaci di distinguere cosa è bene e cosa è male, cosa è bello e cosa è brutto, cosa è sinistra e cosa è destra, persino cosa è maschio e cosa è femmina, cosa è vivo e cosa è morto... io sostengo che occorre elaborare la più presto un modello che abbia valore universale e che unisca il meglio di tutti i modelli precedenti, scartandone gli aspetti negativi. Ovviamente, la tesi di De Masi non è primariamente morale e spirituale, bensì sociologica e politica. Egli analizza infatti quindici modelli del passato e del presente, fornendo una vera e propria mappa delle civiltà sperimentate dall’uomo nel corso della sua storia millenaria. Per ogni modello De Masi indica ciò che salverebbe e ciò che eliminerebbe, al fine di ottenere il materiale necessario per progettare un “modello nuovo”, capace di orientare la nostra società disorientata. Si comprende tuttavia che quando egli, con strumenti sociologici e quindi scientifici, rileva nella società mancanza di base intellettuale, disorientamento e incapacità di distinzione etica, ciò non può che sollecitare una riflessione anche sul piano morale spirituale, il che è quanto qui vorrei proporre. 1. La prima cosa che colpisce nelle parole del dotto sociologo è l’umiltà con cui ammette il disorientamento “profondo” che provoca la mancanza di criterio per “distinguere” il bene dal male, il bello dal brutto e così via. La vera cultura è sempre umile. L’umiltà è riconoscere di non farcela da soli, riconoscere il bisogno d’aiuto, ma nel contempo nutrire il desiderio fattivo di aiutarsi a risollevarsi, a ritrovare capacità e criteri perduti. L’umiltà è la prima condizione per aiutare l’individuo e la società. Ci si può chiedere se la mancanza di “base intellettuale” lamentata da De Masi non abbia forse qualcosa a che vedere con la decisione dei più di vivere senza un’autorità autorevole da cui farsi guidare nei vari momenti dell’esistenza. È un dato di fatto sociologico che molti hanno deciso di vivere senza Dio o a prescindere da Dio, e certo senza curarsi di un qualsivoglia volere di Dio. L’umiltà, cristianamente intesa, tende invece a riconoscere la nostra dipendenza da Dio e, dopo aver fatto il possibile, rimettere ogni cosa nelle mani di lui. È stato rettamente osservato che “col Padre nostro non si governa” (Norberto Bobbio), cioè che non si può imporre per legge né l’Evangelo né la fede che da esso scaturisce. Forse però un ritorno dell’uomo a una dimensione più umana, e quindi più vicina a Dio, non gli farebbe male, anzi gli gioverebbe da ogni punto di vista esistenziale. 2. De Masi lamenta a ragione la perdita di capacità nel distinguere il bene dal male, il bello dal brutto. Ma operare queste distinzioni significa essere dotati di un metro, di una misura, di un criterio per distinguere. All’inizio della bella lettera di Paolo ai filippesi c’è la preghiera dell’apostolo per loro affinché sappiano “discernere il bene dal male”. Agli efesini scrive che “leggendo” le Scritture è possibile ottenere la “intelligenza” delle cose di Dio, cioè la comprensione di ciò che è bene per la salute morale spirituale della persona. Ancora agli efesini ricorda che il frutto delle cose che Dio ama sta in tutto ciò che è “bontà, giustizia e verità” secondo Cristo. Pietro scrive che mediante la conoscenza delle Scritture si può evitare ignoranza e instabilità, errore morale e corruzione, che sono il risultato di “scelte che portano alla perdizione”. Per gli scrittori del Nuovo Testamento, ispirati da Dio, è chiaro che i criteri per distinguere il bene dal male e il bello dal brutto – moralmente parlando – esistono. Purtroppo talvolta si abbandona o si trascura il criterio distintivo tra buono e cattivo secondo Dio, si rinuncia all’intelligenza delle cose come le vede Dio per lasciarsi indurre a giudizi superficiali (“secondo apparenza”) determinati in genere da: sentimentalismo (sentimenti spuri, superficiali), vittimismo (si fa la vittima mentre si è persecutore), pregiudizio (forse l’elemento più subdolo), calunnia e maldicenza (vezzosi elementi, efficaci catalizzatori di confusione e quindi di indistinzione etica). In un certo senso l’uomo si ritrova sempre di fronte all’albero della “conoscenza del bene e del male”; vale a dire o indipendenza e autonomia rispetto a Dio (è la corsia preferenziale che si sta seguendo) o dipendenza, riconoscimento e gratitudine verso Dio (è la via indicata da Cristo). Il discepolo di Gesù riconosce che un maestro di vita e di etica c’è ed è unico. Una guida morale e spirituale esiste ed è unica. Con acuta punta polemica verso maestri e guide d’ogni tempo e luogo, Gesù Cristo stesso si proclama maestro “unico”, guida “unica” (Matteo 23,8 ss.). Peccato che l’uomo postmoderno non sappia più distinguere il bello dal brutto. Invece nel Nuovo Testamento Gesù spiega bene che ciò che è buono è anche bello, bello secondo Dio e non in senso puramente estetico – l’ossessione per l’estetica corporale nasconde troppo spesso vanità, superficialità, presunzione, orgoglio; cioè appunto bruttezza. La (in-)distinzione tra maschio e femmina, richiamata da De Masi, è all’origine della vicenda umana. Dio creò l’uomo maschio e femmina. Una traduzione meno elegante ma più fedele all’originale è che Dio li creò “uomo” e “uoma”. Erano entrambi belli e buoni. Ogni cosa era buona e bella nel creato, prima che decidessimo di fare come se Dio non ci fosse, di vivere a prescindere da lui, cioè dal nostro stesso Bene. In Paolo riecheggia questa bontà originaria quando afferma che “nel Signore” né l’uomo è senza la donna né la donna è senza l’uomo. Pietro attesta che il marito deve onorare la moglie, la quale è erede anche lei della “grazia” vitale in Cristo. La (in-)distinzione tra destra e sinistra può richiamare quella nota parola di Gesù: quando fai un’offerta al povero “non sappia la tua sinistra quello che fa la destra”. Il contesto dice che si tratta di un insegnamento polemico contro la superbia e la vanagloria di coloro che fanno il bene solo se ne traggono un tornaconto personale, o di chi si comporta bene solo se può farsi notare dall’occhio sociale. Si tratta di persone che fanno il bene per egoismo e ipocrisia, cioè per motivi moralmente errati che annullano il bene fatto. Guardiamoci intorno (e esaminiamoci dentro); è proprio così difficile valutare chi fa una cosa buona per mostrarsi al pubblico e chi invece compie il bene per amore, solo per amore? È proprio tanto difficile giudicare chi agisce per interesse personale e chi invece lotta per ciò che è buono e bello secondo Dio? È davvero così complicato riuscire a distinguere chi si dà da fare per carpire il consenso degli altri e chi invece opera per semplice ubbidienza al Signore? La pur sintetica analisi di De Masi consente ulteriori considerazioni. 3. L’incapacità di distinguere “cosa è bene e cosa è male, cosa è bello e cosa è brutto, cosa è sinistra e cosa è destra, persino cosa è maschio e cosa è femmina, cosa è vivo e cosa è morto...” è il segno inequivocabile di una situazione di generale lassismo morale spirituale, cioè di quella sregolatezza che la Bibbia ebraica, con la sua semplice ma efficace filosofia della storia, descrive in modo lapidario: “Ognuno fa ciò che gli pare meglio” (Giud 21,25; non al passato ma al presente profetico!). Una condizione, questa, lamentata pure da tutti i profeti che hanno esortato al bene, ad evitare il male, a non contraffare il bene col male (Is 5,20; 7,15; Ger 4,22; Amos 5,14; Mic. 3,2). Non dovrebbe esser necessario ricordare in quali e quante occasioni Gesù e gli apostoli si sono pronunciati contro la colpevole mancanza di distinzione fra il bene e il male. Purtroppo però, il disorientamento e l’incapacità di distinguere che caratterizzano la società attuale, sono gradualmente penetrati anche nella società dei cristiani (di qualunque tipo), che pure affermano di voler seguire l’Evangelo. Solo qualche esempio, per chiarire. Le situazioni di matrimoni/divorzi multipli, separazioni e scioglimenti matrimoniali per situazioni del tutto personali, caratteriali, privatistiche, talvolta forse egoistiche, talaltra forse insopportabili, possono (debbono) essere ben considerate, valutate, chiarite, giudicate in base alle Scritture. Eppure si afferma il contrario, cioè che queste situazioni non possono (non debbono) essere valutate né giudicate qui e ora, per mantenere invece un approccio più sobrio, informato piuttosto al vivi e lascia vivere. Conviventi, sposati per varie volte, mariti di mogli successive, mogli di mariti successivi, padri di figli avuti da diverse mogli o compagne… andrebbero lasciati al Signore. Non è certo il caso di sottovalutare la responsabilità personale e di coscienza in queste situazioni (tutt’altro), ma si dovrà pur spiegare che cosa mai significhi, ad esempio, l’esortazione “sia il matrimonio tenuto in onore da tutti” (Eb 13,4 v. contesto); e ci si dovrà chiedere se ciò che ai tempi apostolici era onorevole sia oggi cambiato per il Signore. In una situazione di disorientamento e quindi di sregolatezza e di indistinzione del bene dal male, le forze in gioco sono comunque numerose e potenti; consideriamone ad esempio due, il cattivo uso di sessualità e interesse economico. Sregolatezza e mancanza di orientamento consentono a queste due forze formidabili di scatenarsi; ed infatti le pulsioni sia sessuali sia economiche possono giocare ruoli di primaria importanza nelle scelte individuali di chi si sposa, o si risposa, o si accompagna, o si riaccompagna per la seconda, terza, ennesima volta. Ecco un marito innamoratissimo della moglie, alla quale si dedica anima e corpo, alla quale pure intesta i propri beni. Hanno due figli, sembrano una famiglia felice. Improvvisamente lei s’innamora d’un’altro e propone al marito la convivenza a tre (appunto: disorientamento, sregolatezza). Lui rifiuta recisamente, e in breve si ritrova sul lastrico. Un discepolo viene aiutato moralmente e spiritualmente dai fratelli a superare una sua scelta infelice ed erronea. Egli arriva a comprendere il proprio errore. Se ne ravvede pubblicamente e abbandona quella sua condotta. Tutta la famiglia del Signore se ne rallegra, ne è lieta, tutti partecipano commossi alla stessa festa morale spirituale cui partecipano persino gli angeli. Poi però, grazie a ripetuti e vari interventi esterni di zelanti amici, quel discepolo torna sulla sua decisione precedente e, grazie al loro consenso, torna alla sua scelta iniziale. Sconcertante. Eppure il fenomeno sociologico della intrusione volgare e interessata nelle comunità religiose è tutt’altro che raro (appunto: disorientamento, sregolatezza). Ecco un credente che bacia con santi baci, abbraccia e prega commosso coi fratelli che lo hanno aiutato ad uscire dalle sabbie mobili di una difficile situazione morale. Ma poco tempo dopo egli torna a gettarsi nella stessa palude, portando anzi con sé altri, i quali ritengono così di aver raggiunto un “bene” maggiore in Cristo, una “bellezza” spirituale più alta. Talvolta può forse essere difficile – non impossibile – valutare situazioni e intervenire con cura e per amore, ma non dovrebbe essere affatto complicato riconoscere almeno il caso di una evidente doppiezza d’animo, a meno che non si sia proprio disorientati e scriteriati. Una coppia ha allevato con cura i propri figli. Un giorno il figlio presenta la sua fidanzata ai genitori. Poi si viene a sapere che lei è stata sposata con due precedenti mariti e ha un figlio da ogni matrimonio. Grande sconcerto, apprensione, preoccupazione nel padre e nella madre del giovane. Il quale però non sente ragioni e sposa la donna. Hanno un figlio, e quando tutta la famiglia allargata si ritrova assieme non si sa più chi è il padre di chi, chi è la madre di chi, chi è il consuocero di chi ed è arduo discernere chi è fratello o sorella di chi, e con quale grado di fratellanza, perché nel frattempo i primi due mariti della donna si sono riaccompagnati/risposati, hanno avuto figli da altre donne, le quali erano state sposate in precedenza e avevano altri figli… (appunto: disorientamento, sregolatezza). 4. Sappiamo dall’Evangelo e dall’archeologia che una delle immagini care ai primi cristiani era quella del pastore che reca intorno al collo la pecorella ritrovata per ricondurla all’ovile. Il fratello o la sorella che esercitano realmente la cura spirituale morale delle anime cerca di andare a liberare dai rovi la pecorella. Ma il disorientamento in cui l’animale sperduto si trova può rivelarsi molto pericoloso, perché può generare in esso paure, isterie, caparbietà, irresponsabilità, cattiverie, malignità, reazioni malvage d’ogni tipo... E il pastore può trovarsi dinanzi non la pecorella desiderosa di libertà, ma un caprone che attacca e ferisce il malcapitato che con amore cercava di esortare, aiutare, consigliare per il bene. Per i cristiani, il disorientamento e l’incapacità di distinguere il bene dal male sono spesso dolosi; si tratta cioè di disorientamento e incapacità colpevoli sia moralmente sia spiritualmente. È questo il frutto più amaro del lassismo, della sregolatezza, che caratterizzano la società postindustriale (fenomeno atteso), ma che penetrano anche nel modo di pensare di molti credenti, purtroppo. Così la “mente rinnovata” (metànoia) dalla conoscenza spirituale morale del Cristo viene corrotta dallo spirito del mondo. Il credente si conforma “a questo secolo”, rinuncia allo sforzo di “conoscere per esperienza quale sia la volontà di Dio, buona, accettabile e perfetta”, perché vuole e decide di adattarsi, di credere, di affidarsi alla volontà delle persone del mondo (Rom 12,2 s.). Quando i dèmoni del cattivo uso della sessualità e dell’interesse economico si scatenano, c’è forse qualcosa di più piacevole che ascoltare ciò che le proprie orecchie vogliono sentire? In questo modo cade purtroppo anche l’ultima distinzione sociologica e morale, quella fra “cosa è vivo e cosa è morto”. Il credente che si adatta allo spirito del mondo pensa d’essere vivo, invece sta morendo. Muore infatti in lui il sobrio concetto di se stesso (si ritiene superiore agli altri, non ha bisogno di ascoltarne il consiglio, Rm 12,3); muore il suo senso della misura della fede che Dio gli ha assegnata (ha fede in se stesso, perciò tende facilmente a prestare fede a ciò che è falso, Rm 12,3); muore in lui ogni relazione col “corpo unico di Cristo” (trova quindi la comunione con qualche forma frastagliata che gli si adatta, Rm 12,5; si noti qui l’aggettivo “unico”); muore in lui ogni senso della condivisione comunitaria dei doni ricevuti da Dio (esalta invece il proprio individualismo, Rm 12,6 ss.); muore in lui l’amore (che diventa vittimismo ipocrita, Rm 12,9); muore in lui ogni desiderio di “aborrire il male” e di “attenersi fermamente al bene” (proprio perché non distingue più il bene dal male, Rm 12,9; si noti il significativo verbo “aborrire” e l’avverbio “fermamente”); muore in lui ogni significato reale di “amore fraterno” (non distingue più infatti chi lo previene nell’onore in Dio, anche per esempio nelle questioni matrimoniali, e chi invece lo aiuta sulla via del disonore, Rm 12,10); muore in lui ogni desiderio buono di coltivare “un medesimo sentimento” in Cristo (per aderire invece allo sfruttamento dei sentimenti prodotto dal contrario dell’umiltà che è presunzione, Rm 12,16); muore in lui ogni senso della veracità in Dio (in mancanza di argomenti adotta di solito la maldicenza come arma di difesa e ritorsione, Rm 12,19). La situazione diviene paradossale, perché la morte morale spirituale ghermisce l’individuo proprio quando egli si ritiene al colmo della sua scelta di vita: mi ri/sposo… ri/comincio a vivere… ri/parto con una persona nuova al mio fianco… L’animo dell’individuo – disorientato, senza criterio, impaurito, indeciso e deciso al contempo – è tale che gli basta il minimo consenso di qualcuno alla sua condotta perché subito questa gli sembri già meno grave di quanto gli era stato prospettato da altri. È per questo che Eva e Adamo si scambiarono il famoso frutto vietato. È per questo che Anania e Saffira si accordarono nel loro intento bugiardo. È il vicendevole consenso che fa apparire meno erronea, quasi gradevole, anzi accettabile anche una scelta errata. È il consenso che la rende paragonabile a situazioni analoghe: se lo fanno gli altri perché io no? Se lo hai fatto tu, perché io non posso? È il consenso che fa di un errore una scelta non proprio condannabile e in fin dei conti, a pensarci bene... la rende perfettamente aderente alla stessa “volontà di Dio”. È così facile alla mente umana mentire a se stessa. Mentire a se stessi è più naturale che mentire agli altri. Si tratta di credere ciò che si sceglie di voler credere. Si cede semplicemente e naturalmente alla propria volontà dominata tra l’altro da vettori potenti quali sono la sessualità e l’interesse economico. A questo punto, scambiare la propria volontà per la santa volontà di Dio può essere rinfrescante, rassicurante e facile, più che mangiare un gelato al pistacchio di Bronte in una calda serata estiva. 5. Nelle parole di De Masi, “la mancanza di una base intellettuale” – cioè il criterio biblico, per il cristiano – “determina un profondo disorientamento, per cui non si è più capaci di distinguere cosa è vivo e cosa è morto”. Alla fine è questo il frutto tragico della trappola del lassismo, in cui si rischia continuamente di cadere se non si bada ai propri passi, come dice la Scrittura. Forse l’uomo, la donna, la società sono senza orientamento perché si è perduta, volentieri, la sola bussola capace di indirizzare al bene vero voluto da colui che è il solo Buono, cioè Dio. Questa bussola è la coscienza illuminata dal Nuovo Testamento di Cristo. Purtroppo, quando la coscienza viene diseducata al bene verace, svilita da cattivi esempi, abbeverata da maldicenza, umiliata nell’ignoranza, oscurata da mancanza di letture e di studio, da mancata riflessione sulla parola magistrale di Cristo, quando la coscienza viene educata da ignoranza e da instabilità caratteriale, da immaturità morale spirituale, da infantile caparbietà, la coscienza stessa perde la “memoria” (in Cristo), la cognizione (di Cristo), il senso stesso della riflessione (in Cristo), perde la propria “base intellettuale” (in Cristo). Cioè, l’intelletto si “ottenebra”, secondo la parola profetica del Nuovo Testamento (Ef 4,18). Eppure non bisogna demordere, non bisogna arrendersi né tantomeno smettere di sperare e pregare. Anche in mezzo alla palude può nascere un bel fiore. Per l’Alzheimer spirituale morale esiste una terapia. Il disorientamento può essere superato mirando alla luminosa Stella mattutina, che è il Cristo. Paura e diffidenza possono essere vinte con l’amore disinteressato e non ipocrita: “L’amore sia senza ipocrisia” (Rom 12,9). L’ignoranza può essere fugata crescendo nella conoscenza/esperienza di Cristo, come consiglia Pietro. L’instabilità può essere controllata con la fermezza nella nobile parola etica di Cristo. Se è possibile, se è mai possibile, occorre fermarsi. Arrestarsi a pensare. A riflettere: che il corpo è più del vestito; che la vita è più del cibo; che la persona che ho davanti a me conta più del videomessaggino che sto ricevendo; che è ben difficile intrattenere relazioni umane veraci con facebook; che il prossimo – figli, genitori, fratelli, amici, conoscenti, sconosciuti – non va usato mai e in nessun caso, neppure a fin di bene, né tantomeno va abusato, perché quel prossimo è la sola immagine sacra che Dio ci ha lasciato di Sé (vedi n. 8). Il Nuovo Testamento non può certo essere imposto giuridicamente – quasi fosse una cristiana sharī’a –, forse però l’analisi sociologica, come pure quella biblica, possono considerare che per ritrovare l’orientamento, operare distinzioni, aderire a significati e criteri necessari a vivere in Dio, solo Buono, occorre rimettere la persona umana al centro. Cioè rimettere a fuoco colui che ha saputo proporre il modello universale più alto, Cristo Gesù Signore. Il Lettore avrà già notato per proprio conto come l’analisi puntuale di De Masi ricordi certi aspetti del racconto biblico della Torre di Babel, da leggersi non come mero racconto di un mitico passato, bensì come profetico Monumento alla Confusione che genera disorientamento per via dell’ancestrale voglia dell’uomo di indipendenza e autonomia. L’analisi del disorientamento in altri ambiti dell’esistenza e dei criteri per superarlo potrebbe qui continuare. I frutti mortali del disorientamento, della carenza di base intellettuale e del discernimento etico non si esauriscono certo in queste note o nell’ambito ristretto, ma pur rilevante, della vita a due. Se il Lettore ritiene che qui sia stato presentato qualche elemento buono, potrà proseguire l’analisi per proprio conto, applicandola ai mutevoli e variegati aspetti dell’esistenza, magari parafrasando il detto cartesiano: Cogito ergo credo; penso, dunque ho fede. Che si può anche leggere al contrario: ho fede, quindi penso. Le due sentenze sono soggette a condizioni: che si sappia come si fa a pensare e che la fede sia verace. Sempre badando, però, che fare il copia e incolla nella vita produce mostri.

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