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RIFLESSIONI / L'Amore, quello vero

L’Amore, quello vero Se mogli e mariti sapessero... La parola “amore” nel Vangelo è usata molto spesso. Giovanni la usa moltissimo. Nel senso più esteso l’amore è inteso come affetto verso familiari, amici o verso ideali, princìpi, passioni, attività, amicizia come quella che legò Davide a Gionatan (1 Samuele 18,1 ss.; qualcuno ha tentato di assimilare quest’amicizia a una relazione omosessuale, ma è falso). In ambito sessuale, l’amore è caratterizzato come èros: l’erotismo, manifesta essenzialmente comportamenti, desideri finalizzati a soddisfare il bisogno sessuale nella relazione d’amore fra uomo e donna. Acquista invece il significato di affetto, amore/agàpe, quando risponde al principio dell’amore universale, oltre ogni possibile aspetto umano, materiale, possessivo, egoistico. Col sacrificio di Gesù Cristo, Dio esprime la massima forma di amore altruistico, un amore tale da essere la condizione senza la quale non c’è salvezza, poiché Cristo Gesù è prezzo di riscatto per tutti. Ogni tipo di amore infatti implica il sacrificio di qualcosa da parte di una persona per l’altra. Maggiore è l’amore maggiore è la prontezza al sacrificio. I diversi amori della persona umana sono conseguenza della costituzione della persona stessa. I genitori amano i figli; i fratelli amano le sorelle; un uomo ama una donna e viceversa, ci si innamora. Ma amore/agápe indica qualcosa di diverso, è la qualità di colui che ama e non la qualità di chi è amato. Gli amori umani (amicizia, èros) sono un riflesso pallido dell’amore di Dio (agàpe) mostrato in Gesù verso il genere umano. L’agàpe si abbassa per raggiungere il più basso fra gli uomini, il più debole e indifeso. Forse se si riflettesse di più sul senso vero dell’amore, tante famiglie non si sfascerebbero, molti mariti ritroverebbero i motivi che li hanno fatti innamorare, tante mogli potrebbero tornare a rispettare e amare i mariti. Nessuno è privo di valore, nessuno è senza speranza, anche nelle situazioni più disperate. L’amore/agápe regala all’essere umano l’onore più alto possibile, diventare figli di Dio e partecipare alla santità di Dio stesso. Nel Nuovo Testamento tutti i discepoli e le discepole di Cristo sono chiamati “santi”. Perché non continuare queste riflessioni con calma incontrandoci per ragionarci su insieme? Chiama e otterrai risposta! A che serve un Maestro come Gesù... L’amore/agápe rivoluziona la concezione di Dio da parte dell’uomo. E così facendo, l’amore cambia la tua e la mia relazione con gli altri, con l’uomo e la donna nostri simili, apre nuove possibilità sociali: “Siate imitatori di Cristo... come diletti figli di Dio camminate nell’amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi” (Efesini 5,1). Sta qui l’etica cristiana, che insegna dunque a imitare e a dare retta non a uomini come noi, magari quelli lodati e glorificati da altri uomini, ma il Vangelo insegna a imitare Cristo Gesù, glorificato da Dio mediante la sua risurrezione: unico Risorto, unico Mediatore, unico Maestro, unica Guida. Il brano di Efesini 5 proibisce ogni tipo di fornicazione: passioni illecite, sfruttamento sessuale, violenze, ecc. Non è forse vero che la fornicazione spesso comincia con una conversazione licenziosa? La fornicazione è connessa ad altri due peccati comuni, l’avidità e l’idolatria. L’avidità è il desiderio di possedere per profitto personale. L’idolatria è dare la propria mente in devozione e servizio a un’idea o a un’immagine diversa da Dio. La fornicazione coinvolge un uomo o una donna sia nell’avidità sia nella idolatria: possesso e concezione smoderata di se stessi (e, in genere, irresponsabilità verso l’altro/l’altra). Nella società la conversazione su argomenti sessuali spesso diventa riferimento allusivo o irrispettoso accompagnato da gesti volgari. Sono cose estranee a colui o a colei che desiderano imitare il comportamento del Maestro Gesù. Evitare discorsi scabrosi o morbosi non significa tacere, vuol dire resistere al male, portando la conversazione e il comportamento verso quegli aspetti elevati dell’esistenza che si rifanno appunto all’esempio del Cristo. Occorre abbandonare la doppia morale per cui “in chiesa” ci si comporta in un modo e “fuori” in modo opposto. Se per un solo attimo ci si rendesse pienamente conto della realtà dell’agápe-amore che Dio ha verso di noi in Cristo, le nostre parole e i nostri comportamenti potrebbero mutare come dalla notte al giorno. Abbandoniamo il buio dell’avidità e dell’eccessivo riguardo per noi stessi (idolatria dell’ego) e apriamoci all’affetto/agàpe di Dio che mai ci abbandona, né durante la vita, né in punto di morte, né oltre la morte. Se amiamo i nostri figli, li amiamo perché in noi è rimasta una piccola luce dell’amore di Dio. Torniamo dunque a riparlare, a stimare, a benvolere e a riamare il marito o la moglie cui ci lega un patto importante. Gesù Cristo può aiutarci a ricostruire la nostra famiglia, se abbiamo fiducia in Lui: vieni, incontriamolo...

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