Il cristiano e la malattia
Chiesa di Gesù Cristo in Pomezia
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Roberto Tondelli
Il cristiano e la malattia
Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui,
dice lo Spirito di Dio.
Siamo autonomi e indipendenti,
dice lo spirito del mondo
(Evaristo Ferranti, 1885-1950)
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© Roberto Tondelli, Il cristiano e la malattia, 2015
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Pomezia (Roma), settembre 2015
Il cristiano e la malattia
Quando la malattia bussa alla porta di casa nostra possiamo essere indotti a farci domande che prima non consideravamo: come affrontare la malattia fisica? Serve la fede quando la malattia ci coglie? Oppure, talvolta, il cristiano nutre l’illusione che la fede lo proteggerà dalla malattia e che mai egli si ammalerà?
1. Il Nuovo Testamento ci presenta discepoli ammalati in varie circostanze. Epafròdito, collaboratore di Paolo, è stato malissimo, quasi in punto di morte. L’apostolo e i fratelli di Filippi sono stati molto preoccupati per la sua salute. Ma ecco che per la provvidenza del Signore egli si è ristabilito. Ora è in grado di viaggiare verso Filippi per rivedere i fratelli e rallegrarsi con loro nella comune fede fiduciosa (Fil 2,25 ss.). Paolo stesso aveva addosso un malattia che lo “schiaffeggiava”. Qualcuno ha ipotizzato che si trattasse di una malattia agli occhi (glaucoma). È un male che lo fa soffrire, ma la grazia del Signore “basta” all’apostolo per sopportare questa malattia fisica (2 Cor 12,7 ss.). In altra circostanza ricorda ai Galati che proprio a causa di una malattia fisica egli ebbe la possibilità di evangelizzare le regioni della Galazia. Il male fisico non arrestava certo Paolo nella sua opera di evangelizzazione (Gal 4,13 ss.). Che bell’esempio è il suo!
Gesù guariva le malattie – e le guariva “tutte”, non come certi santi che guariscono una o due persone... Gesù però guariva i malati non perché i suoi discepoli si illudessero che non si sarebbero mai ammalati, ma per dimostrare la sua potenza di Messia (Mt 8,14 ss.).
2. Gli effetti della malattia sono noti. Debilita il corpo e può abbatterci anche moralmente e spiritualmente, se non stiamo in guardia, se ci lasciamo sopraffare dal male. Anche i medici moderni affermano che un atteggiamento positivo e fiducioso aiuta molto il processo di guarigione.
Occorre dunque combattere la malattia. Contrastarla certo con analisi, visite mediche e medicine. Ma il discepolo di Gesù tiene in primo piano il valore grande della preghiera. Pregate gli uni per gli altri è la raccomandazione dello Spirito di Dio che si applica anche nei momenti di malattia (Gc 5,16). Si tratta infatti di un aspetto dell’amatevi gli uni gli altri che tanta importanza riveste per i discepoli maturi del Cristo.
In Cristo non esiste né autonomismo né individualismo. Paolo scrive della malattia di Epafròdito ai Filippesi; scrive della sua malattia ai Corinzi e ai Galati. Che cosa ci dice questo? Semplicemente che la malattia, per il credente, non è una faccenda privata, personale, ma sta piuttosto nella dimensione comunitaria!
Si tratta della dimensione comunitaria seria, non si tratta certo di trasformare la malattia in evento da mettere in vetrina mostrandolo stoltamente su facebook...
La parola discreta e umile per i cristiani è “insieme”; sia quando si tratta di mangiare assieme, sia quando si tratta di essere di un sol cuore e di un’anima sola, sia quando si tratta di condividere la malattia. Se un membro soffre, tutte le membra soffrono davvero con lui, perché “individualmente, siamo membra l’uno dell’altro” (Atti 2,32 + 1 Cor 12,26 ss. + Rom 12,5b). Ci rendiamo conto di che cosa significa ciò? L’appartenenza allo stesso corpo di Cristo è così rilegante che tu sei membro di me e io sono membro di te.
Per questo la malattia la si combatte “insieme”. Il cristiano maturo si rinchiude forse in se stesso quando si ammala? Si isola da tutto e da tutti? Proprio il contrario! Non si sta “insieme” solo al culto o per mangiare assieme ma anche in circostanze determinate da malattia. Ecco perché Giacomo scrive:
C’è fra voi qualcuno che soffre? Preghi. (...) C’è qualcuno fra voi infermo? Chiami gli anziani della chiesa, e preghino essi su di lui, ungendolo d’olio nel nome del Signore; e la preghiera della fede salverà il malato, e il Signore lo ristabilirà; e se egli ha commesso dei peccati, gli saranno rimessi” (Gc 5,13 ss.).
La medicina antica era semplice. Olio e vino erano medicamenti comunemente usati (Lc 10,34). Non antibiotici né raffinate tecniche chirurgiche. Si sapeva però che la malattia poteva portare alla morte. Perciò il malato “chiama” i fratelli perché preghino per lui e con lui. Il verbo “chiamare” è importante nella Bibbia. I discepoli del Signore sono da Lui “chiamati” mediante l’Evangelo. Nella circostanza della malattia è il credente malato che “chiama” i fratelli alla preghiera comune.
Si noti: non sono gli altri che “chiamano” il malato, ma al contrario è l’infermo che ha l’esigenza di “chiamare” i fratelli più maturi perché “insieme” preghino per lui, per la sua guarigione fisica e spirituale. Ecco che mi ammalo. La malattia mi abbatte fisicamente e moralmente. Chiamo dunque i miei amici cari in Cristo, che vengono e pregano per me ed io con loro. La loro preghiera mi rinfranca. Non sono solo. Fratelli che mi amano mi sono accanto. Ne sono ristorato.
Nel cristianesimo vissuto non c’è proprio nulla di autonomistico, nulla di indipendentistico, nulla di privatistico. Perché l’amore fraterno è proprio condivisione, è proprio dipendenza gli uni dagli altri, è davvero comune unione in Cristo, è legame comune reale stabilito dalla norma (nomos) del Cristo, il quale ci accomuna, ci rilega assieme, ci fa membri gli uni degli altri nel vero senso della parola.
3. Anche nella malattia il discepolo maturo di Gesù non dimentica di amare, e perciò si ricorda delle sue responsabilità verso Dio, verso la chiesa, verso il prossimo.
Il discepolo spiritualmente maturo trova il modo di provvedere alla propria famiglia anche quando è malato. Trova il modo di mandare la propria offerta al Signore (colletta) anche quando è infermo in casa o in ospedale, perché ama i fratelli e sa che la chiesa dipende anche dalle sue offerte al Signore. Il discepolo maturo in Cristo non diviene avaro a causa della malattia, perché l’avarizia è un male e non porta salute.
Come fece Paolo, molti credenti utilizzano proprio i momenti trascorsi in ospedale per parlare di Cristo e così evangelizzare. Il malato, se può, rilegge la Scrittura volentieri per “ascoltare” Dio che gli parla in momenti di difficoltà. Da questa Parola sublime l’infermo trae beneficio e consolazione.
Si può, ad esempio, rileggere l’evangelo di Luca. Forse non se ne trarrà una guarigione istantanea, ma Gesù è tutt’ora il Grande Medico. La sua provvidenza è magnifica. Ricordo il caro fratello Duino, infermo in ospedale dopo un’operazione molto seria. Mi disse sorridendo: “Sono in Cristo! Che mi può accadere? Al massimo posso morire!” Morì meno di ventiquattr’ore dopo e sperimentò che “anche se camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me” (Sl 23,4).
La tecnica medica mal comprende la realtà del “tu (Dio) sei con me”. Il discepolo di Cristo non solo comprende tale realtà, ma per fede e col battesimo in Cristo è “innestato” all’albero della Vita che è il Signore stesso (Rom 6,3 ss.).
Non lasciamoci sconfiggere dalla malattia. Affrontiamola invece per fede fiduciosa, con discrezione e con un atteggiamento che testimonia fiducia umile nel Signore.
Chi ha fiducia in Lui e ha ubbidito all’Evangelo non perirà mai. Malattia e morte sono già vinte dalla Vita che è “in” Cristo. Chi è “in” Dio sta “dentro” la Vita. Che ci può mai succedere?
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