Famiglie e pastori
Famiglie e pastori
Domanda antica e attuale: Se uno non sa dirigere la propria famiglia,
come potrà aver cura della chiesa di Dio?
“È degno di fede quanto vi dico: se uno aspira all’episcopato, desidera un nobile lavoro. Ma bisogna che il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro. Sappia dirigere bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi con ogni dignità, perché se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Inoltre non sia un neoconvertito, perché non gli accada di montare in superbia e di cadere nella stessa condanna del diavolo. È necessario che egli goda buona reputazione presso quelli di fuori, per non cadere in discredito e in qualche laccio del diavolo. (…) Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto. I diaconi non siano sposati che una sola volta, sappiano dirigere bene i propri figli e le proprie famiglie. Coloro infatti che avranno ben servito, si acquisteranno un grado onorifico e una grande sicurezza nella fede in Cristo Gesù” (1 Timoteo 3).
Questa citazione è tratta dalla lettera che Paolo apostolo, ispirato da Dio, scrive al predicatore Timoteo. Vi si parla anche della famiglia del cristiano che aspira all’opera di vescovo. Si tratta di raccomandazioni morali semplici, pratiche, che riguardano in genere il carattere del credente e la sua famiglia buona. Dignità, prudenza, sobrietà, generosità e non attaccamento al denaro sono richieste ad ogni credente in Cristo; come pure benevolenza, buona reputazione e non violenza. La non violenza, che sembra la scoperta di movimenti di pensiero moderni, era già comandata agli uomini cristiani sia dentro che fuori delle loro famiglie.
I vescovi (che l’Evangelo chiama pure “anziani” e “pastori”) delle comunità di cristiani in epoca apostolica erano sposati – il celibato non era ancora praticato e il matrimonio era tenuto in grande onore. Lo Spirito Santo, che muove Paolo a scrivere queste cose, pone una domanda intelligente: “Se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?”
È questa una bella domanda, un interrogativo molto attuale e sapiente, che riguarda in primis coloro che si presentano come “pastori” o vescovi. A loro infatti i fedeli celibi, nubili, sposati, divorziati, risposati, accompagnati, omosessuali, sono oggi invitati ad accostarsi per consigli morali e guida spirituale.
La domanda dello Spirito di Dio, posta in altri termini, è questa: se un cristiano non dimostra di essere in grado di governare, dirigere, e quindi consigliare e guidare, la PROPRIA famiglia, come potrà aspirare a prendersi cura, consigliare, guidare, dirigere moralmente e spiritualmente i mariti, le mogli, i figli, i risposati, i conviventi, gli omosessuali che fanno parte della Chiesa di Dio?
L’interrogativo è critico e si propone all’intelligenza di tutti come valido e ragionevole. Potrebbe anzi rientrare in quella “salutare reazione autocritica” che Francesco si augura nell’esortazione “Amoris Laetitia”. Se infatti si vuole uscire dagli “ideali teologici” e dalle “costruzioni artificiose” lontane dalla realtà e dalle famiglie “così come sono”, forse sarà bene riflettere molto bene sulla domanda che Dio stesso propone nel Nuovo Testamento. Cioè a dire: non è forse proprio l’esperienza acquisita prima nel dirigere la PROPRIA famiglia che rende poi il cristiano capace di aspirare alla delicata opera di pastore e vescovo? Altrimenti, privo come è di esperienza, cioè senza conoscenza pratica delle realtà problematiche della famiglia, come potrà uno aspirare ad essere guida e consigliere in un ambito del quale in pratica non conosce nulla?
La domanda posta, ripetiamolo, dallo Spirito di Dio, pone una questione di fondo molto attuale. Quando si tratta delle concrete situazioni problematiche vissute da famiglie che per tante ragioni si sfasciano o sono minacciate di rovina, ha senso chiedere il consiglio morale e la cura spirituale di coloro che non hanno alcuna esperienza pratica in questioni di famiglia? Ad esempio: una moglie che dopo il secondo figlio non riceve più le attenzioni amorose del marito… Un marito che tradisce la moglie perché lei lo trascura… Come consigliare un marito che “guarda” un’altra donna? Come guidare una moglie che nell’ambiente di lavoro subisce le attenzioni di un collega? Che cosa dire a un marito che se ne va con un uomo?
Ammesso che gli “attori” di queste situazioni cerchino aiuto e guida (la cosa non è per nulla scontata), è evidente che in queste faccende una conduzione morale affidabile e un costante consiglio spirituale si rendono necessari per mariti, mogli, figli, figlie, se si vuole davvero esaminare le situazioni problematiche “caso per caso” e “ben discernere le situazioni”. Ma, secondo lo Spirito di Cristo, per fare ciò occorrono cristiani di grande esperienza e provata fedeltà prima nella PROPRIA famiglia e poi anche nella chiesa.
Torna quindi in tutta la sua logicità e attualità la domanda posta dallo Spirito di Dio: se uno non sa dirigere la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio? Forse, nella provvidenza di Dio, la moderna (ma non certo nuova) crisi delle famiglie può essere utile perché si torni a prendere sul serio anche questa domanda che l’Evangelo pone a tutti e a ciascuno.
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R.Tondelli
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