Riflessioni

Dio, Stephen e Margherita

Chiesa di Cristo Gesù in Pomezia ______________________________ Roberto Tondelli Dio, Stephen e Margherita A mia madre, eletta nel Signore ______________________________________ © Roberto Tondelli, Dio, Stephen e Margherita, 2018 Per domande e osservazioni, e per richiedere copie dello studio o autorizzazioni alla pubblicazione: chiesa di Cristo Gesù Largo Goffredo Mameli, 16A I 00040 Pomezia, Roma (RM) www.chiesadicristopomezia.it info@chiesadicristopomezia.it cnt2000@alice.it 339 577 3986 Pomezia (Roma), 2018 Dio, Stephen e Margherita Sia Stephen Hawking sia Margherita Hack sostenevano che è troppo comodo spiegare il cosmo con Dio, e avevano ragione Il 2018 rimarrà come l’anno della morte di Stephen Hawking (n. 1942), astrofisico britannico di fama mondiale. Il 2013 vide la dipartita dell’astrofisica italiana di fama internazionale Margherita Hack (n. 1922). Persone di grande valore in campo scientifico, civile e politico, furono entrambi atei convinti. Ma furono anche persone pensanti, diverse quindi dalla massa atea che forma oggi la religione della maggioranza, quella che sembra escludere a priori dalla propria vita ogni aspetto religioso, per ricercare il piacere e il materialismo. Margherita Hack motivava spesso il proprio ateismo coi pessimi comportamenti della chiesa ufficiale, ai quali si riferisce spesso anche l’attuale vescovo di Roma. Sia Hawking che Hack sostenevano pure che è troppo comodo spiegare il cosmo con Dio. Avevano ragione. È stato infatti dimostrato ampiamente da Hans Küng (Dio esiste?, 1979) che non ha senso credere in un Dio “tappabuchi”, un Dio cioè che servirebbe solo a spiegare tutto ciò che l’uomo non riesce a comprendere con la scienza. È vero, come affermavano questi scienziati, che per l’uomo dell’antichità ogni fenomeno era “miracoloso”, ogni cosa era ammantata da un’aura “religiosa”, e che ciò ha favorito l’insorgere di miti e superstizioni, come è vero che col progredire della conoscenza e della scienza molti “miracoli” sono stati spiegati e si è compreso che molte cose non erano che frutto di fideismo e tradizione superstiziosa. Di qui la domanda critica: basta tutto ciò per escludere davvero Dio dall’orizzonte dell’essere umano? Il Nuovo Testamento – e in generale la Scrittura – non presenta né un Dio “tappabuchi” né un Dio dei “misteri”. Il Vangelo non giustifica alcuna forma di tradizionalismo, fideismo e superstizione. Per la Bibbia, dopo Mosè e gli altri profeti, il climax della rivelazione di Dio è Cristo Gesù. Dio è vicino alla persona umana, desidera amarla ed esserne riamato. Dio ha piacere di comunicare con ciascun essere umano: “La grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Gv 1,17). Ciò dovrebbe bastare per muovere a considerare con gratitudine, ma anche con accuratezza scientifica biblica, gli aspetti incommensurabili della grazia di Dio in questa vita, a ricercare e approfondire la verità sia nelle cose del cosmo sia nelle cose che rilegano a Dio. La Scrittura ispirata da Dio invita infatti alla “infinitamente varia sapienza di Dio” (Ef 3,10), al gusto del “profumo della conoscenza di Dio” (2 Cor 2,14), e alla continua ricerca e progressiva crescita “in Cristo” per poter giungere, sia pur gradualmente, alla “completa conoscenza di tutti i tesori della sapienza e della conoscenza” di Dio “in Cristo” (Col 2,2 s.). È tragico, purtroppo, che talvolta non si pensi più in termini di sapienza “di Dio”, che non si ritenga più neppure possibile arrivare alla verità nelle cose di Dio, ma che tutto sia relativo – insana espressione rozza con cui si pensa, errando, di dimostrare qualcosa riecheggiando la teoria di Albert Einstein. Si rende così relativa (alla cultura, alla situazione, al momento storico, ecc.) l’etica del popolo di Dio, l’etica della famiglia, l’etica del cambiamento interiore. Il culto “razionale” ben delineato in Rm 12 viene relativizzato nella sua essenza di “giustizia, pace e allegria” in Cristo (Rm 14,17), come tanti altri aspetti peculiari del rapporto vitale dei discepoli col Cristo. In tali condizioni la ricerca biblica si incanta, si agghiaccia, si fissa. Sta più immobile della moglie di Lot salificata. Al posto della ricerca, si apre ora ampio spazio alla mera ripetizione dottrinale e sermonifera (ma il computer tiene svegli), alla fede fai-da-te, allo spirito che svolazza blaterando, alla fede praticona e non più alla fede operante per mezzo dell’amore perché radicata nel Cristo delle Scritture (Gal 5,6; Rm 10,16). Che cos’è mai questo se non la nefasta banalizzazione dell’Evangelo (Gal 1,9)? Un Evangelo “altro” perché il “seme del regno di Dio” è stato ridotto o mescolato a mera socialità: un amicale circolo, un luogo ameno per incontri montani o marini, una chiesa-pub in cui servire beneauguranti apericena, un ritrovo sociale trendy, degno del più banale così fan tutti. In tal modo, il regno di Dio, frutto “ab eterno” di un amorevolissimo progetto unitario, unificante, cosmico, frutto sapientissimo di incommensurabile altezza scientifica (Ef 1,9 ss.!), il regno di Dio consistente nella REALISSIMA TEORIA DEL TUTTO, in coerenza perfetta con la Parola “poetica”, cioè quella che crea il tutto, che determina il tutto e che il tutto sostiene tuttora (Eb 1,3), ebbene questo regno “di Dio” viene ridotto ad accozzaglia di pratiche esotiche e idee d’importazione che, come piante malate, si coltivano in orticelli interessati ciascheduno al proprio misero confine, entro il quale si ritiene di poter fare ciò che garba a ciascuno (Giud. 21,25), in omaggio a un principio biblico più ignoto del dio ignoto di Atene. Emerge qui purtroppo, da un lato, l’abbandono di fatto della autorità autorevole “di Dio”, espressa “in Cristo” e attestata mediante Scritture, il mezzo vergato da scrittori ispirati. Si palesa, dall’altro, la dittatura infida della autoreferenzialità. Il che rende necessariamente abortiva ogni possibilità di seria crescita “in Cristo” – citazione molto usata, ma chi ne pondera il senso? Del regno di Dio se ne fa pertanto un impero d’ignoranza, che accoglie di buon grado l’invito della proverbiale “donna follia”, la quale mena a morte certa per superstizione, cioè per fede e religione falsa, la quale sempre si oppone alla scienza. La fede – falsa perché privata della ricerca dell’Infinito, della sana discussione con l’Uno – genera così il giustificato ateismo. Forse, se l’etica dei discepoli di Cristo avesse ubbidito alla norma della coerenza con l’Evangelo “di Cristo” (altra formula oggi evanescente quanto a senso), molti non avrebbero avuto motivo per scegliere la via dell’ateismo. Infatti l’esempio di persone davvero ubbidienti e unite nella “parola ricevuta” (Gv 17,14) sarebbe stato estremamente persuasivo per la fede fiduciosa del mondo intero, come Gesù aveva osato sperare (Gv 17,21). Eppure no, proprio no. L’Iddio della rivelazione biblica non intende servire da “tappabuchi” per le cose che nel piccolo mondo e nel cosmo non si capiscono, o non si capiscono ancora. Egli non vuole impedire all’uomo né la via della ricerca scientifica né la strada della ricerca Per ricevere la sezione rimanente dello studio si prega di utilizzare i riferimenti indicati sopra. Grazie.

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