LA PAROLA
La parola che non c’è
L’uomo adopera normalmente la parola, ma dietro questa normalità
c’è il pensiero
che sostanzia ciò che è solo suono
“L’anima mia è attaccata alla polvere; vivificami secondo la tua parola...L’anima mia, dal dolore, si strugge in lacrime; rialzami secondo la tua parola... Mantieni al tuo servo la tua parola che inculca il tuo rispetto... io confido nella tua parola. Non mi togliere di bocca la parola della verità... Ricordati della parola detta al tuo servo; su di essa mi hai fatto sperare. Questo è il mio conforto nella mia afflizione; che la tua parola mi vivifica”.
Queste belle espressioni tratte dal Salmo 119 hanno in comune il riferimento costante alla “parola”. Sia nella sacra Scrittura ebraica sia nel Nuovo Testamento, Dio stesso si mostra mediante la sua parola. Tutta la rivelazione biblica si basa sulla parola di Dio e dalla parola di Dio scaturisce. È forse per questa ragione che gli uomini antichi davano alla parola un valore molto alto. La cultura mediterranea, che si riverbera nella Scrittura, poneva la parola al centro di scambi, interessi, ricerche, atti, religiosità. Espressioni quali “parola mia”, “la parola è parola”, “le parole sono pietre”, “parola d’onore” riflettono il notevole valore che veniva attribuito alla parola.
Oggi si tende a considerare la “parola” come atto usuale dell’individuo. Il bambino impara naturalmente a parlare. L’adulto adopera normalmente la parola. Eppure dietro questa naturalità e normalità c’è il pensiero che sostanzia e rende poi concreto ciò che è solo fonìa, suono. “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!” (così nel film di Nanni Moretti, Palombella rossa, 1989). A volte basterebbe solo ascoltare con cura le parole di chi parla, per capire ciò che pensa e come vive, sia egli uomo politico, uomo religioso, persona pubblica o privata. Chi parla malamente è ben difficile che pensi e agisca rettamente. Anche se è vero che chi parla bene può ingannare col proprio linguaggio coloro che ascoltano in modo disattento.
La parola è importante. La parola è normata dal principio di non contraddizione. Se ieri dicevo una parola, oggi ne dico un’altra e già mi preparo a dirne una diversa domani, questo dovrebbe screditarmi agli occhi di tutti. Se ciò non accade è solo perché la gente è disattenta alle parole dette e dimentica con troppa facilità quel che è stato affermato. Il che favorisce i chiacchieroni, gli imbonitori, quelli che con le parole raggirano il prossimo, confidando che molti di quelli che ascoltano o non sono attenti alle cose dette o le dimenticano facilmente o non hanno voglia di confrontare quanto detto ieri con quanto detto oggi. Paolo apostolo descrive bene questa condizione: “Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie, rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole” (2 Timoteo 4,3).
Quel giorno è venuto. Oggi la parola non ha quasi più alcun valore. Si tende spesso a parlare tanto per parlare. Si ascolta spesso ciò che si vuole ascoltare, secondo ciò che piace sentire. Si ascoltano spesso maestri suadenti, accattivanti, simpatici. Ma non si adopera il cervello per vagliare ciò che dicono. Per queste ragioni fioriscono le favole mentre, purtroppo, avvizzisce la verità. Ciò accade in tutti i campi, economico, politico e anche religioso.
In questa volgare babele, colui che confida nel Signore è benedetto, proprio “bene” “detto”. Come mai? Semplicemente perché può udire e ascoltare la parola di Dio ogni volta che lo desidera. Basta che apra le Scritture per godere di parole univoche, serie, legittime, coerenti, vere. “La parola di Dio è un lampada al mio piede e una luce sul mio sentiero” (Salmo 119). La parola di Dio è “la vita e la vita è la luce degli uomini... grazia e verità sono venute mediante Gesù Cristo” (Giovanni 1,4 ss.). Non è un caso che Paolo apostolo scriva: “Sia Dio riconosciuto verace, ma ogni uomo bugiardo” (Romani 3,4). Solo ed esclusivamente Cristo Gesù propone la parola che dona salute morale spirituale (grazia) ed è egli stesso verità.
Questa sua parola è così alta e nobile che è capace di suscitare la fede fiduciosa in chi umilmente la ascolta. Gesù dice: “Chi crede in me, crede non in me, ma in Colui che mi ha mandato... io non ho parlato di mio; ma il Padre che mi ha mandato, mi ha comandato lui quel che debbo dire e di che debbo ragionare; e io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che dico, così le dico, come il Padre me le ha dette” (Giovanni 12,44 ss.). Umiltà, amore, dedizione in queste espressioni di Gesù! così vere eppur così poco credute, soprattutto dei suoi discepoli. Alle parole e ai ragionamenti di Cristo, appresi dal Padre, dipende “tutto quanto riguarda la vita e la pietà [religiosità] mediante la piena conoscenza di colui che ci ha chiamati...” (2 Pietro 1,3 ss.). Ciò nonostante, proprio i discepoli di Gesù continuano a utilizzare propaganda e pubblicità invece che affidarsi al “dire” e al “ragionare” di Cristo appreso dal Padre. Ecco infatti i grandi, piccoli e fin minuscoli raduni religiosi; la buona stagione favorisce bibliche gite e facilita biblici momenti marini e silvani; si tenta di attrarre a Dio con la lingua inglese; l’evangelo come il caffè, anzi il Nescafè. What else? Come diceva George Clooney. Che cosa non si fa pur di attrarre? Che cosa non si fa per dare un aiutino alla parola di Dio; la quale, altrimenti, non ce la farebbe a convertire, a far cambiare, a consigliare, a educare la gente che ormai non vuole convertirsi, non vuole cambiare, non vuole consigli, né vuole educazione. E allora ecco la propaganda: la parola di Dio aiutata da una piccola, modesta attrazione, un gadget, un omaggio inutile ma offerto come attrattivo richiamo pubblicitario. La pubblicità, poi, si fa insistente. “Chiedilo a Teresa... chiedilo a Giuliano... chiedilo a loro” quanto è bello e buono dare l’otto per mille per questa o quella causa. Persuasive televisioni, pubbliche e private, pullulano di bibliste e biblisti che spiegano una parola oggi ritenuta incomprensibile, ma che era ben compresa “dal popolo che ascoltava Gesù pendendo dalle sue labbra” (Luca 19,48). Idee astruse e concetti banali attirano come verità assolute. Nessuno verifica. Nessuno discute. Verifica e discussione esigono il pensare. Si è disposti anche a pagare per soddisfare il “prurito di udire qualcosa”. L’attrazione è irresistibile.
Gesù, però, che ha imparato parole e ragionamenti vitali dal Padre, ricorda: “Nessuno può venire a me se il Padre che mi ha mandato non lo attiri; io poi lo risusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni 6,44). Persino i cristiani hanno smesso di pensare che la parola di Cristo è in sé mezzo-e-metodo per attrarre alla vita di Dio, alla vita che è in Dio. Pensare di dare un aiutino a una tale parola è blasfemia. Chi “ha sete” (certo, bisogna aver sete) si lasci attrarre dalla grazia buona e dalla verità meravigliosa del Cristo; lui ha imparato dal Padre. Chi “ha sete” sappia che l’acqua dissetante è “dono” elargito “senza pagare” (Apocalisse 22,18 + Isaia 55,1 ss.). Così Dio salva le menti dalla confusione e le anime dalla perdizione. Inalterata, nobile, resta la profetica domanda: “Perché spendete denaro per ciò che non è pane e il frutto delle vostre fatiche per ciò che non sazia?” (Isaia 55,2).
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Roberto Tondelli – 06 2018
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Piccola bibliografia:
V. Mannucci, Bibbia come Parola di Dio, Brescia, 2004.
C. Dotolo, La rivelazione cristiana, Milano, 2002.
C. M. Martini, Ricominciare dalla Parola, Bologna, 2002.
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