Riflessioni

ORO DEL SILENZIO

L’oro del silenzio Si riprendono qui alcuni concetti molto bene espressi in un recente contributo da M. Santopietro. Il tema è la confusione in questa fine d’anno e in questa società; quante parole, quale rumore. Una società biblica perché babelica. Siamo lontani dai sentimenti espressi da Giuseppe Ungaretti in questa poesia: “Non ho voglia di/tuffarmi / in un gomitolo / di strade / Ho tanta / stanchezza / sulle spalle / Lasciatemi così / come una / cosa / posata / in un / angolo / e dimenticata / Qui / non si sente / altro / che il caldo buono / Sto / con le quattro / capriole / di fumo / del focolare” (Natale, 26 dicembre, 1916). La gente pare invece volersi stordire, mescolare a folle senz’anima, dove un idiota che spruzza uno spray al peperoncino può causare la morte di decine di giovani o dove un folle può cominciare a sparare in testa alla gente in nome di un dio per nulla “grande” ma molto piccolo, frutto di menti malate, inesistente in qualunque fede seria. Nelle città il rumore mai non cessa e spesso il suono delle parole si confonde col rumore di fondo, disperde i significati, confonde le relazioni umane. L’esperienza frustrante è percepire solo suoni molesti. È sempre più arduo trovare persone disponibili all’ascolto e la cosiddetta privacy è un miraggio quando 70 milioni di persone su Facebook vengono spiate. L’esposizione al rumore è fonte di stress, provoca variazioni accertabili della pressione sanguigna, del ritmo cardiaco e della secrezione endocrina. In materia di disturbi alle attività, il rumore incide negativamente sullo studio e sui lavori di tipo intellettuale, oltre che sulla comunicazione verbale e sul sonno. I tipi di rumore sono riconducibili a queste fonti: traffico veicolare; traffico ferroviario; traffico aereo; attività industriali e artigianali; attività commerciali; fenomeni meteorologici; vita domestica. Le conversazioni televisive, specchio dell’attuale realtà sociale, sfociano in dialoghi urlati con un lessico spesso scurrile e irrispettoso, così come accade nel quotidiano, per cui chi alza la voce sembra aver ragione. In questa scompostezza è ancor più difficile ascoltare la Parola, identificata nella persona di Cristo Gesù. L’Apostolo Giovanni scrive: “Sin dal principio esisteva la Parola e la Parola stava accanto a Dio, anzi la Parola era Dio; essa stava accanto a Dio sin dal principio. Tutto è stato fatto per mezzo suo e nulla esistette senza di essa. Tutto il creato aveva vita in essa e quella vita era pure la luce degli uomini. E la luce brilla nella tenebra ma la tenebra non l’ha accolta” (Giovanni, 1). Per udire questa Parola sublime occorre andar “via dalla pazza folla” (è il titolo del romanzo di Thomas Hardy, 1874). Occorre imitare Elia – ma anche Gesù – che se ne va nel deserto e si ferma in attesa del Signore: “Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu una voce di silenzio sottile. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «CHE FAI QUI, ELIA?» (2 Re, 19; l’espressione in neretto è traduzione dell’ebraista Paolo De Benedetti). “Che fai qui?”: ecco una domanda rivolta alla sensibilità di OGNUNO che nel segreto della propria coscienza medita la Scrittura ispirata dal Dio Vivente, qui trova il senso delle cose. L’eccesso di suoni e voci e notizie produce invece distorsione, frastuono. Si vanifica così il contenuto delle parole, disperse nell’abituale rumore. L’uso massivo e facilitato delle tecnologie della comunicazione causa inflazione fonetica, genera un pericoloso equivoco di fondo, per cui il diritto a esprimere la propria opinione diventa un criterio per equiparare tutti i pareri, a prescindere dall’attendibilità e dal grado di cognizione di causa. Così si azzerano le differenze fra un’opinione e l’altra, come a dire: “la mia opinione e la tua hanno pari dignità, perché come tu hai il diritto di parlare, l’ho anch’io”. Anche in religione questo fenomeno è purtroppo ben presente. Tuttavia, un conto è la legittimità a manifestare il proprio pensiero, un altro è definirne l’attendibilità, l’autorevolezza e la competenza che conferiscono credibilità a una tesi o all’altra! Anche satana conosce le Scritture, che cita strumentalmente come nell’episodio delle tentazioni (Matteo, 4) per insinuare dubbi, fomentare incertezze, alimentare la superbia umana. I discepoli saggi analizzano bene le cose che ascoltano, come c’insegnano quelli di Berea, i quali ricevettero la Parola divulgata dall’apostolo Paolo con serietà, verificandone l’autenticità alla luce delle Scritture (Atti, 17). © Riproduzione riservata Roberto Tondelli 12 2018

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