Riflessioni

Grazia che basta

Guarigione Il profondo rispetto per le tragedie personali e collettive dovrebbe muoverci alla ricerca di qualcosa, anzi di qualcuno “Dov’era Dio mentre mio figlio moriva?” Questa domanda accorata risuona spesso dinanzi a tragedie vicine e lontane da noi. La domanda va ascoltata con profondo, silente rispetto. È un’interrogazione comprensibile, anche se scaturisce da una concezione magica della divinità che non rispecchia il Dio della rivelazione in Cristo Gesù (Nuovo Testamento). Siamo in crisi rispetto a Dio perché non Lo conosciamo né ci facciamo conoscere da Lui. Posti dinanzi alla tragedia della malattia o ai traumi della vita, quando sentiamo la terra mancarci letteralmente sotto ai piedi tendiamo ad aggrapparci “a tutto”, anche al magismo, anche ai miti. Non poche persone decidono di fare un pellegrinaggio, magari in uno dei luoghi santi più alla moda, dove accorrono in molti (ma è proprio la moltitudine che conta?), per andare a chiedere “le grazie” alla divinità. Così facendo ci si comporta proprio come gli antichi pagani che si recavano presso le sacre caverne per interrogare la pizia o la sibilla, a Delfi o a Cuma. Se fossimo davvero cristiani dovremmo sapere, e praticare, almeno due cose. La prima è che Gesù raccomanda la preghiera “nel segreto”, contro la preghiera “spettacolare”, cioè contro la religione resa spettacolo di massa (forse persino turistico?) e a favore invece della preghiera intima attuata in uno spazio profano, la “propria camera” (Matteo 6,5). In qualunque luogo e in qualunque momento della giornata è sempre possibile parlare con Dio (parlare, non recitare) attraverso l’unico mediatore vivente fra noi e Lui, Cristo il Signore (1 Timoteo 2,5). Un momento di preghiera o di culto, individuale o in una comunità di credenti, è del tutto indipendente da ogni sacralità del luogo. Questo dice Gesù alla donna samaritana: “Né a Gerusalemme né sul monte Garizim adorerete il Padre… questa è l’ora nella quale i veri adoratori adoreranno il Padre mediante lo Spirito e la verità” (Giovanni 4,21 ss.). Mai insegnamento è stato più ignorato di questo, talvolta anche da chi ripete queste frasi senza penetrarne il senso bello e profondo. Ancor oggi si parla di Gerusalemme come di “luogo santo” e si valorizza una strana sacralità del luogo. Occorre invece farsi guidare dallo Spirito del Signore che parla nelle pagine ispirate del Nuovo Testamento e dalla verità che è Gesù stesso: non una teoria filosofica, psicologica e neppure “religiosa”, ma la persona storica del Signore che ci viene incontro nel Nuovo Testamento. Proprio il profondo rispetto verso le tragedie personali e collettive che mettono in crisi la nostra tenuta mentale dovrebbe muoverci alla ricerca di qualcosa, anzi di qualcuno, che sia realmente capace di “simpatizzare con noi”. Chi cerca, trova Gesù il “grande sommo sacerdote” (Ebrei 4,14 ss.) che comprende le nostre debolezze, infermità, necessità, mancanze, tragedie e persino le nostre proteste (“Dov’era Dio…?”). Non è forse proprio Gesù che, morendo, ha esclamato “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” Eppure, non è forse proprio lui che, spirando, ha detto “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio?” Si pone qui una domanda cruciale: ha fatto bene, Gesù, a fidarsi e confidare in Dio anche nella sua tragedia personale? La sua fiducia è stata ben risposta o mal riposta? Stando a ciò che dicono i documenti storici del Nuovo Testamento, ha fatto bene. Presso la croce, Dio era assente agli occhi di coloro che deridevano e accusavano; eppure era tanto segretamente presente (“nel segreto”) che dopo qualche giorno ha donato a Gesù la sua stessa vita: “Tu mi hai fatto conoscere le vie della vita, mi ricolmerai di gioia con la tua presenza”; “Cristo Gesù… costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito Santo mediante la resurrezione dai morti” (Atti 2,28; Romani 1,4). Ecco una verità da tener presente ogni giorno, non solo nelle feste comandate (da chi? perché?). La seconda cosa che dovremmo sapere riguarda le “grazie”. Anche qui magismo, mito e mancanza di conoscenza giocano un ruolo rilevante nella nostra psicologia, spesso purtroppo fideistica e digiuna del messaggio genuino dell’Evangelo. Secondo la rivelazione biblica, “grazia” significa dono gratuito di salute spirituale, perdono, riconciliazione con Dio, liberazione dal male “mediante la fede nel sacrificio di Gesù” (Romani 3,21 ss.). La grazia di Dio, salute morale-spirituale donata gratis e accessibile in ogni momento, richiede solo la nostra fede fiduciosa per essere accolta. Tutta la lettera ai Romani, pur nella sua complessità, è un inno a questa grazia, dono gratuito di Dio in Gesù, accolto per fede operante secondo la norma di Cristo, che invita alla rinascita e alla “vita nuova” in Cristo (Romani, 6). Solo questa grazia di Dio è capace di guarire il nostro “io” interiore, profondamente scisso (schizofrenico) che Paolo delinea così: “Io non approvo ciò che faccio, perché non faccio ciò che voglio, ma faccio ciò che odio… infatti non faccio il bene che vorrei, mentre faccio il male che non vorrei” (Romani 7,15 s.). A Paolo apostolo, che si rivolge a Dio chiedendo che gli tolga una “spina nella carne” (forse una malattia), il Signore risponde: “La mia grazia ti basta, perché la potenza [di Dio] si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Corinzi 12,8 s.; se, però, la grazia di Dio proprio non ci basta, allora meritiamo di spendere tempo e denaro per un viaggio a Medjugorje, anche se l’Italia è piena di santi luoghi altrettanto potenti). Le potenze politiche, finanziarie e anche religiose del mondo si manifestano come superpotenze, superforti, superpresenti, mentre la grazia divina opera all’inverso e si manifesta “pienamente nella debolezza” – che sembra garbare a pochi. È appunto questa la “grazia” di Dio, è questo il dono incommensurabile in Cristo. Quali “grazie” potrebbero mai esserci al di fuori di questa? Quali doni al di sopra o al di sotto di questo? Il credente illuminato del XXI secolo può quindi credere che “in Dio viviamo, ci muoviamo e siamo” (Atti 17,28), rigettando l’idea di un magico dio tappabuchi che interverrebbe continuamente nelle indeterminatezze e incertezze della vita – malattie, drammi, tragedie – con interventi, fra l’altro, parziali che esaudirebbero pochi e non esaudiscono molti. Che abissale differenza con la vera “grazia” di Dio, che Egli elargisce con magnifica misericordia “a tutti” coloro che vogliono accoglierla con umiltà di cuore per essere da Lui guariti dentro (Romani 11,32). Roberto Tondelli © Riproduzione riservata – 05 2019

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