Riflessioni

La sindrome dell'incomunicabilità

Vita e fiducia s’incontrano di rado tra loro. Molta gente le considera cose molto diverse tra loro. La vita è lavoro (quando c’è), esperienza, capacità, iniziativa personale, a volte con gli altri, altre volte purtroppo contro gli altri. La fiducia (quando c’è) è confinata in spazi e tempi ben marcati: lo spazio inizia in genere oltre la soglia di una chiesa, il tempo è quello di ricorrenze, matrimoni, festività, funerali.In effetti questa non è fiducia, ma è fede tradizionale concentrata in pochi frammenti di vita, più o meno belli e tristi. Per il resto la vita si consuma in un’arena dove il prossimo è considerato un potenziale avversario, dove la fede fiduciosa in Dio non paga, anzi sembra un peso inutile nella lotta quotidiana: la regola è colpire per primi, per colpire due volte. Forse questo genere di fede tradizionale assolve un tipo di vita che può essere in netto ed inconsapevole contrasto con la fonte della fiducia buona che è l’insegnamento di Gesù presentato nel Nuovo Testamento.Un giorno, ancora studente, parlavo in classe con l’insegnante di religione sulla frase di Gesù «Non chiamate nessuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il padre vostro, quello che è nei cieli». La mia lettura del passo mi diceva che c’era qualcosa di sbagliato nel fatto di considerare qualcuno come padre in senso spirituale, e nella pretesa di innalzarsi rispetto ad altri facendosi ritenere appunto “padri” e “guide” spirituali degli altri.La risposta fu un lieve sarcasmo e, purtroppo, il travisamento delle parole di Gesù. Mi fu detto che, secondo la mia comprensione del passo, non avrei dovuto chiamare “padre” neppure il mio genitore… La risposta voleva rendere banale una domanda che a me pare tuttora legittima. Non mi sembrò in ogni caso una risposta esauriente, e continuai a pensare che Gesù non consente a nessun uomo di farsi “padre, guida e maestro” spirituale di tutti gli altri. Dall’episodio imparai due lezioni.La prima è che quando semplici uomini si arrogano il titolo di padri spirituali, assumono un incarico a dir poco imbarazzante, perché in effetti non riescono poi a fornire risposte esaurienti e corrette alle tante domande che ognuno di noi potrebbe e dovrebbe fare. È forse per questo che tanta gente ha smesso di chiedere, e si accontenta, purtroppo, di una fede superficiale? La seconda lezione la ebbi dai miei compagni di classe: impreparati a partecipare a un confronto su un tema “religioso”, stupìti davanti a una domanda “tecnica” fatta nell’ora di religione, da sempre momento di totale relax!Col tempo si fa l’abitudine alla presenza di tanti “padri” e “maestri” spirituali che propongono di risollevare le sorti dell’umanità. In un altro brano del Vangelo Gesù parla di quei “padri” definendoli «ciechi, guide di altri ciechi». Mi domando se tra i due brani non s’innesti talvolta qualche connessione. Forse una sana conoscenza del Vangelo sarebbe utile per affidarsi solo al Padre che è nei Cieli e alla guida di Cristo Gesù.Non credo, invece, che si possa fare l’abitudine alla svogliatezza delle persone ad affrontare questioni che riguardano la fede fiduciosa e le scelte della vita. Sta qui la sindrome dell’incomunicabilità: incapacità di confrontarsi serenamente per comprendere, per riflettere con interesse e partecipazione sugli argomenti più profondi dell’esistenza. L’ora di religione sopravvive anche oggi nell’indifferenza di persone formatesi purtroppo alla scuola dell’indifferenza (che faccia comodo?). Ma forse c’è ancora chi spera in un futuro dove parlare di fiducia sia un fatto centrale della vita, perché la parola di Cristo insegna a pensare e ad avere fiducia, mentre le chiacchiere degli uomini fanno un vuoto che può anche essere pericoloso.[Claudio Bortolotti]

Torna alle riflessioni